LA STORIA DI UN TESTARDO
Francesco:
«Al Signore, i nostri peccati non gli
fanno schifo, Lui si avvicina come
si avvicinava ad accarezzare i lebbrosi, i malati»
di Antonino Legname
«Giona è
il modello di quei cristiani “a patto che”, cristiani con condizioni. “Io sono
cristiano ma a patto che le cose si facciano così” – “No, no, questi
cambiamenti non sono cristiani” – “Questo è eresia” – “Questo non va” …
Cristiani che condizionano Dio, che condizionano la fede e l’azione di Dio» – ha detto Papa
Francesco nella Meditazione della Messa a Santa Marta l’8 ottobre 2019. La Sacra
Scrittura ci racconta che tra Dio e il profeta Giona il rapporto fu conflittuale.
Il profeta si aspettava l’intervento di Dio per castigare duramente il popolo
di Ninive, che inizialmente non dava ascolto a Giona e non mostrava segni di
conversione.
Ma quando alla predicazione di Giona la gente incominciò ad ascoltare
la parola del profeta e a cambiare vita, «Dio ‘si ravvide riguardo al
male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece’». Papa Francesco non
esita a definire la storia di Giona «storia di un testardo», che «si arrabbia
contro il Signore perché troppo misericordioso e perché compie il contrario di
ciò che aveva minacciato di fare per bocca dello stesso profeta». Giona si scandalizza della tenerezza di Dio. Il Pontefice annota
che, mentre «Giona è testardo con le
sue convinzioni della fede, il Signore è testardo nella sua misericordia: non
ci lascia mai, bussa alla porta del cuore fino alla fine». Purtroppo, anche
nella Chiesa di oggi ci sono tanti cristiani «testardi», arroccati nelle loro
idee che degenerano in «ideologia» e – lamenta il Papa – questo «è il
brutto cammino dalla fede all’ideologia». Francesco spiega che i cristiani che
ideologizzano la fede lo fanno perché hanno paura. Di cosa? Hanno paura «di
crescere, delle sfide della vita, delle sfide del Signore, delle sfide della
Storia», perché sono attaccati alle loro convinzioni e alle loro ideologie. E
in questo modo essi si allontanano dalla comunità, «hanno paura di mettersi
nelle mani di Dio e preferiscono giudicare tutto, ma dalla piccolezza del
proprio cuore». Il Vescovo di Roma conclude delineando due figure di Chiesa
oggi: «la Chiesa di quegli ideologi
che si accovacciano nelle proprie ideologie, e la Chiesa che fa vedere il
Signore che si avvicina a tutte le realtà, che non ha schifo». Espressione
forte per dire che «al Signore, i nostri peccati non gli fanno schifo, Lui si
avvicina come si avvicinava ad accarezzare i lebbrosi, i malati. Perché Lui è
venuto per guarire, Lui è venuto per salvare, non per condannare».