NO ALLA
CHIESA DI ÈLITE
Francesco: «attenti
a non essere cristiani complicati, che elaborano mille teorie e si disperdono a
cercare risposte nella rete»
Visita pastorale di Papa Francesco ad Albano, 21 settembre 2019 (foto da Vatican.va) |
di Antonino
Legname
«A volte subiamo anche noi la
tentazione di creare circoli chiusi, luoghi intimi tra gli eletti. Ci sentiamo
eletti, ci sentiamo élite», ha detto Papa Francesco nell’Omelia della Messa in
occasione della visita pastorale ad Albano il 21 settembre 2019. E commentando
il brano evangelico di Zaccheo, uomo basso di statura, il quale agli occhi dei
suoi concittadini «era il peggio, l’insalvabile», il Papa ci ricorda che agli
occhi del Signore, che «ci vede per primo, ci ama per primo, ci accoglie per
primo», nessuno è legato in maniera definitiva al suo passato di peccato.
Purtroppo, anche nelle nostre comunità ecclesiali è sempre in agguato il
rischio di schedare a vita le persone che hanno sbagliato e di mettere sulla
loro fronte il sigillo della vergogna. Il Vescovo di Roma in altre occasioni ha
detto che il peccato non è un tatuaggio indelebile e che ogni peccatore, se si
pente, ha un futuro di grazia. «I
discepoli di Gesù non sono schiavi dei mali passati ma, perdonati» - ha
ribadito Francesco. A volte, come Zaccheo, anche noi possiamo attraversare
momenti di «bassa statura morale» nella nostra vita; ma è importante non
perdere mai di vista Gesù, anche se per la vergogna ci nascondiamo dietro i
rami dei nostri limiti e delle nostre miserie, sperando di non essere visti. Ma
Gesù va oltre quei rami «della vergogna, della paura, della solitudine» e il
suo sguardo misericordioso si incontra con quello del peccatore; a Lui
interessa l’essenziale che è «l’uomo da amare e salvare». Anche noi dobbiamo
imparare da Gesù a superare gli ostacoli delle mormorazioni, delle chiacchiere
e dei pregiudizi. Bisogna poter guardare con gli occhi di Gesù chi sbaglia, chi
butta la sua vita cercando «surrogati di amore», come per esempio «le
ricchezze, la carriera, il piacere, qualche dipendenza». Francesco esorta a
lasciarsi guardare da Gesù, per essere da lui amati e per scoprire in Lui il
vero senso della vita. E come Chiesa dobbiamo evitare di lasciarci travolgere
dalle strutture dimenticando l’essenzialità e la semplicità della fede. C’è il
rischio, ha messo in guardia il Papa: «di mondanizzare la fede, di
complicarla, di riempirla di tanti contorni: argomenti culturali, visioni
efficientiste, opzioni politiche, scelte partitiche». Stiamo attenti a «non essere
cristiani complicati, che elaborano mille teorie e si disperdono a cercare
risposte nella rete». Ciò che conta veramente e «che viene prima di
tutto – ha detto il Papa - è l’incontro vivo con la misericordia di Dio». E con
un neologismo, Francesco ci ricorda che, con la semplicità dei bambini,
dobbiamo lasciarci «misericordiare» da Dio. Il Pontefice ci chiede di «smascherare
la nostra autosufficienza, di superare le nostre chiusure, di ritornare piccoli
dentro, semplici ed entusiasti, pieni di slancio verso Dio e di amore verso il
prossimo». E accennando alla vita delle nostre comunità cristiane, Papa
Francesco lamenta che a volte esse diventano «estranee a tanti e poco
attraenti»; dobbiamo fare un mea culpa quando vediamo che ci sono «tanti
fratelli e sorelle che hanno nostalgia di casa, che non hanno il coraggio di
avvicinarsi, magari perché non si sono sentiti accolti; forse perché hanno
conosciuto un prete che li ha trattati male o li ha cacciati via, ha voluto far
pagare loro i sacramenti – una cosa brutta – e si sono allontanati». Il Vescovo
di Roma ci ricorda che «il Signore desidera che la sua Chiesa sia una casa
tra le case». Nessuno dentro la Chiesa dovrebbe essere guardato dall’alto
in basso – ha detto Bergoglio – ad eccezione di chi si abbassa per aiutare chi
è caduto in basso a rialzarsi. Soltanto in quel caso si può guardare dall’alto la
persona che è caduta per risollevarla. E mai – dice il Papa – dobbiamo guardare
la gente da giudici». A volte diventiamo giudici spietati verso gli altri, pronti
a puntare il dito contro chi ha sbagliato. Francesco ammonisce: «non siamo
ispettori delle vite altrui, ma promotori del bene di tutti». In conclusione,
ancora una volta il Vescovo di Roma esorta a frenare la lingua: «non sparlare
degli altri», e se proprio ti viene difficile – il consiglio di Francesco è: «morditi
la lingua. Ti si gonfierà in bocca e non potrai parlare!».