LE TRE TENTAZIONI DELLA CHIESA
Etchegaray: «Il
cristiano non è un migrante che si allontana dalla Chiesa quando trema
d’inverno per ritrovarla quando fiorisce in primavera».
di Antonino Legname
Papa Francesco appresa la notizia della morte
del cardinale Roger Etchegaray, il 4 settembre 2019 all'età di 97 anni, lo ha voluto ricordare con queste parole: «è
stato un consigliere ascoltato e apprezzato, in particolare nelle situazioni
delicate per la vita della Chiesa in diverse regioni del mondo. Conservo un
ricordo commosso di questo uomo dalla fede profonda e dallo sguardo volto agli
estremi confini della terra, sempre attento quando si trattava di annunciare il
Vangelo agli uomini di oggi». A me piace ricordare Etchegaray mettendo insieme alcuni suoi
preziosi insegnamenti. «Amiamo la Chiesa! Amiamola sempre, soprattutto quando
soffriamo per lei o anche quando soffriamo per mezzo di lei», scriveva il
Cardinale nel suo libro “Tiro avanti come
un asino …”. Etchegaray aveva un amore viscerale per la Chiesa e chiedeva
ai cristiani di lavorare con impegno per aiutarla a non diventare una
«carcassa sociologica», ma una «comunità fraterna» alimentata dall’energia
divina. Purtroppo, è da biasimare l’atteggiamento conflittuale all’interno
della stessa Chiesa: «a causa delle nostre dispute intestine, abbiamo
incatenato la Chiesa, ne siamo diventati i guardiani feroci e tristi» -
constata amaramente il Porporato. Parole dure che vogliono esprimere il grande
danno che si provoca alla Chiesa quando le si vuole impedire di spaziare e di
«saltare di gioia sulla spiaggia infinita dove, attorno a innumerevoli piccoli
bracieri, s’accampano gli uomini d’oggi in attesa che condividiamo con loro il
pesce del giorno dopo la Pasqua». E mi commuove quando il Cardinale scrive che
«si può far piangere la Chiesa ma non la si rinnega, al pari della propria
madre». Ovviamente, anche la madre può far piangere i propri figli ma non li
rinnega mai. Ed è bella la citazione di Bernanos: «Non riuscirei a vivere
cinque minuti fuori della Chiesa, e se ne fossi scacciato, vi rientrerei
subito, a piedi nudi, in camicia». Etchegaray non esita a citare sant’Agostino
quando dice che «la Chiesa ha molti amici al di fuori e dei nemici al di
dentro». Non c’è dubbio che si ama la Chiesa in proporzione allo Spirito Santo
che si porta dentro. Purtroppo, da sempre la Chiesa deve lottare contro tre
tentazioni, che furono anche le tentazioni di Cristo: la prima è legata al
primato del denaro spesso giustificato per le finalità filantropiche. «La
Chiesa – scrive Etchegaray – non è una società umanitaria di beneficenza». La
seconda tentazione è la ricerca del successo con tutti i mezzi e a tutti i
costi. Pur di raggiungere il successo si è disposti a sbalordire e a stupire
per aumentare il proprio prestigio e la popolarità. La terza tentazione è
quella più grande ed è la brama del potere: «si è pronti a ogni compromesso, a
qualunque patto con i potenti di questo mondo al solo scopo di tutelare l’opera
della Chiesa. Niente affascina di più dello sfavillio del potere, niente aliena
di più dalla sfera spirituale del clericalismo multiforme». Etchegaray amava
definirsi un «giardiniere» di Dio chiamato a coltivare la porzione di Chiesa
che è stata affidata alla sua cura pastorale: «Giardiniere sotto la pioggia e
sotto il sole, seminando nelle lacrime e raccogliendo nella gioia. Giardiniere
amorevole delle piante in tutta la loro varietà». Egli si riteneva un
giardiniere felice perché impegnato a far crescere «i mille fiorellini del
Vangelo che il botanico della Chiesa chiama fede, speranza e carità». Felice
anche perché sa che «né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa
crescere» - come scrive san Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi (3,7). In una
preghiera composta a Marsiglia quando era Vescovo, Etchegaray si identifica con il
povero «saltimbanco» del Signore che è pronto a fare tutte le capriole per il
piacere degli altri.
Da Cardinale, nel libro “L’uomo a che prezzo?”, volle riportare quella sua preghiera per
consegnarla idealmente a tutti i sacerdoti del mondo, invitandoli a chiedere al
Signore di insegnare loro «a non costruire la Chiesa come un cantiere ben programmato,
ma a lasciarla spuntare come una pianta folle sotto il sole di un Dio
imprevedibile». Etchegaray non amava il «supermercato delle religioni» e quando
parlava di pluralismo religioso diceva che esso è una delle più grandi sfide
del nostro tempo. Non esitava a dire che quando noi cristiani ci incontriamo
con le altre religioni, specialmente dove il cristianesimo è minoritario e quasi
inesistente, proviamo spesso uno «shock» che scuote la coscienza e la nostra
ricerca di verità divina. E mettendo in guardia dal rischio del sincretismo e
del proselitismo, Egli precisava che tutte le religioni non sono equivalenti e
che «in quest’epoca dominata dal pluralismo, un cristiano deve imparare a
pensare che l’assoluto in cui legittimamente si riconosce è un assoluto
relazionale, senza esclusioni né inclusioni». Anche a proposito dell’ecumenismo
il Cardinale sosteneva che occorre evitare due rischi: «o trattare l’ecumenismo
come un problema astratto, o astrarsi dal problema ecumenico». La strada verso
l’unità di tutti i cristiani è faticosa e «l’unità visibile della Chiesa non
può essere il prodotto d’un compromesso affrettato o a buon mercato; deve
essere nondimeno incessantemente stimolata dalla bruciatura dello scandalo, del
peccato delle nostre divisioni».