IL NUNZIO APOSTOLICO UOMO DEL CORAGGIO NELLA FEDELTA’
AL MANDATO
Francesco: «Un
Nunzio che non vive la virtù dell’obbedienza – anche quando risulta difficile e
contrario alla propria visione personale – è come un viaggiatore che perde la
bussola, rischiando così di fallire l’obiettivo»
Papa Francesco saluta il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, durante l'icontro con i Nunzi Apostolici, il 13 giugno 2019 (foto da vatican.va) |
di Antonino Legname
«È necessario avere
e sviluppare la capacità e l’agilità nel promuovere o adottare una condotta
adeguata alle esigenze del momento senza mai cadere né nella rigidità mentale,
spirituale e umana, né nella flessibilità ipocrita e camaleontica», ha detto Papa Francesco ai Nunzi Apostolici, il 13 giugno 2019. Il Pontefice
spiega che «non si tratta di essere opportunisti, ma di saper passare
dall’ideazione all’attuazione avendo in mente il bene comune e la fedeltà al
mandato». Il Nunzio Apostolico deve essere un «uomo di iniziativa». In che
senso? Papa Francesco spiega: «è una persona positivamente curiosa, piena
di dinamismo e di intraprendenza; una persona creativa e dotata di coraggio,
che non si lascia vincere dal panico in situazioni non prevedibili, ma sa, con
serenità, intuito e fantasia tentare di capovolgerle e gestirle positivamente».
In quanto Vescovo e Pastore, il Nunzio Apostolico deve saper vivere in mezzo
alla gente e alle vicende del mondo «con la semplicità delle colombe e
l’astuzia dei serpenti». In altre occasioni Papa Francesco si è rivolto ai
Rappresentanti Pontifici esortandoli a rendere le Nunziature Apostoliche
istituzioni ecclesiali più umili e più semplici, senza pompe e senza lusso. Il
sogno di Francesco è quello di una Chiesa più fraterna e più povera secondo lo
stile evangelico, dove la Collegialità dei Vescovi sia più partecipe alle
decisioni di governo del Papa. Occorre dare più autonomia alle Chiese locali
secondo il principio di sussidiarietà, sancito dal Concilio Vaticano II. Papa
Francesco si sta muovendo in questa direzione. Ma non dimentichiamo, però, che
i tempi della Chiesa sono lenti e prima di abbattere le vecchie impalcature
occorre avere le idee chiare sull'efficacia e sull'utilità delle nuove
strutture per un servizio più efficace alla Chiesa e della Chiesa al mondo. La
Chiesa di oggi, intanto, può e deve continuare ad attingere dalla sua storia
bimillenaria tutte quelle energie positive e i medicamenti necessari per sanare
le sue piaghe, sapendo che la sua forza è la stessa forza di Gesù di Nazareth: Tutto
posso in Colui che mi dà la forza (Fil 4,13) ... perché quando sono
debole, è allora che sono forte (2 Cor 12,10) - scrive San Paolo. E con
questa forza, nella debolezza, la Chiesa anche oggi purifica se stessa in tutti
i suoi aspetti umani, in tutti i suoi membri e in tutte le sue istituzioni,
così come ha fatto in altri tempi difficili della sua storia. Per rialzare il
livello ci voleva allora e ci vuole ancora oggi anzitutto un clero più
fervoroso, più sapiente, più motivato e più fedele a Cristo e alla sua Chiesa.
Ovviamente non solo in riferimento al passato, ma anche oggi, bisogna
riconoscere la santità, la dottrina, lo zelo infaticabile, lo spirito di
sacrificio e di abnegazione di tanti Nunzi Apostolici e di tanti sacerdoti che
amano la Chiesa e che, senza fare tanto rumore, spendono la loro vita ogni
giorno nel loro ministero a favore dell'umanità, offrendo al mondo la buona
testimonianza della loro fede. Nell’ Omelia della Messa a Santa Marta, il 27
gennaio 2014, Papa Francesco ha ringraziato i tanti sacerdoti che in silenzio,
senza rumore mediatico, spendono quotidianamente la loro vita a servizio del
Popolo di Dio. Sempre nella storia della Chiesa ci sono state luci e ombre,
sacerdoti zelanti e pieni di entusiasmo ed ecclesiastici demotivati e anche
corrotti, spinti solo da interessi materiali, edonistici e dalla sete di
potere. Per fortuna, nel grande panorama ecclesiale, non sono tanti i preti e i
vescovi che spadroneggiano sulle persone loro affidate e che fanno
soffrire i loro collaboratori. È reale il rischio di perdere la fede quando si
perde di vista il fine per il quale si è nella Chiesa. Quando capita che invece di servire la Chiesa,
ci si serve della Chiesa per fini personali e carrieristici, si combinano tanti
guai, non solo alle cose ma soprattutto alle persone. Nell’Omelia della Messa a
Santa Marta, il 5 giugno 2014, Papa Francesco, coniando un neologismo, chiama
queste persone “vantaggiste”, perché vanno in Chiesa “per vantaggio personale”,
si pavoneggiano di essere benefattori della Chiesa e alla fine, dietro il
tavolo, fanno i loro affari e ambiscono a fare carriera. Papa Francesco, ricevendo in Udienza la Comunità della Pontificia Accademia
Ecclesiastica, il 6 giugno 2013, ebbe a dire: «Il carrierismo è una lebbra …
Per favore: niente carrierismo». Il
male dell’ambizione e del carrierismo se c'è va estirpato alla radice. Gli
ecclesiastici che “lavorano” nelle Rappresentanze Pontificie non sono dei
“burocrati” o dei “funzionari” della Santa Sede; non sono dei semplici
amministratori che assumono atteggiamenti e ruoli di “proconsoli” o di
“ispettori” o di “apparenze puramente decorative” nei confronti dei Vescovi e
del Popolo di Dio, ma sono chiamati ad essere testimoni credibili della
sollecitudine paterna e amorevole del Papa verso le Chiese sparse nel mondo. Essi
devono aiutare i Vescovi e non sostituirsi a loro, né limitarne la loro
autorità. La missione di rappresentare il Papa nei Paesi e presso le Chiese
locali non deve significare sovrapposizione o sostituzione al ministero
dell’episcopato locale che, in comunione con il Vescovo di Roma, è preposto al
governo delle diverse Chiese locali. I Rappresentanti Pontifici, al contrario,
sono chiamati a favorire, incrementare, incoraggiare e sostenere l’azione dei
Vescovi attraverso il carisma dell’unità, della certezza, dell’universalità,
garantito dal Successore di Pietro; sono inviati dal Romano Pontefice ad essere
i servitori della collegialità dei Vescovi, in stretto rapporto con il
ministero di Pietro; devono far sentire viva ed efficace la presenza e la
sollecitudine del Papa per tutte le chiese e devono aiutare a stabilire e a
mantenere rapporti più stretti ed efficaci tra la Santa Sede e le Chiese locali
in ciascuna delle quali “sussiste”, è presente e vive la Chiesa universale. Le
Chiese particolari, infatti, non sono circoscrizioni organizzative, ma sono
porzione di Chiesa. Inoltre, attraverso i Nunzi Apostolici, la Santa
Sede apre e allaccia le relazioni e i rapporti diplomatici con gli Stati e i
Governi di tutto il mondo e svolge il suo ruolo per difendere e garantire la
pace nel mondo e la libertà religiosa, che non si esaurisce nella semplice
libertà di culto. Qualcuno potrebbe obiettare: ma non sarebbe più giusto e più
opportuno che siano i Vescovi locali e le Conferenze Episcopali a risolvere tali
questioni con più efficacia, dato che conoscono la cultura e la politica dei
loro Paesi? L’obiezione in molti casi è da respingere perché alcuni Governi
possono esercitare un forte controllo anche sui Vescovi, in quanto cittadini
del loro Stato, ed esigere da essi obbedienza e rispetto alle leggi del Paese
che non sempre sono in sintonia con gli insegnamenti del Vangelo e della
Chiesa. Forse nel passato questo tipo di controllo e di pressione da parte
dello Stato nei confronti della Chiesa era più frequente e più evidente, ma
oggi i Vescovi di un Paese, sia singolarmente, sia come Conferenza Episcopale
Nazionale, intervengono con forza e autorevolezza per esprimere la dottrina del
Magistero della Chiesa, anche sulle tematiche più controverse e dibattute nei
loro contesti sociali e culturali. A volte può succedere che un Vescovo si senta più figlio della propria terra che espressione della
Chiesa Universale; pertanto, è quanto mai utile la presenza di un Vescovo
(Nunzio) esterno. In questo modo si favorisce l’equità e si garantisce
l’obiettività. Le Rappresentanze Pontificie sono uno strumento storico ancora
oggi utile, per mezzo del quale il Papa esercita il suo “ministero” di guida di
tutto il Popolo di Dio, e con il quale può garantire l’unità e l’universalità
della Chiesa contro possibili pericoli e abusi di particolarismo e di
nazionalismo delle Chiese sparse nel mondo. È bene ricordare che il
“decentramento” ecclesiale, sostenuto anche dal principio di “sussidiarietà”,
si deve mantenere entro i limiti tracciati dall’ecclesiologia del Vaticano II. Le Rappresentanze Pontificie - come ha detto il Pontefice - continuano ad essere espressione efficace
della sollecitudine pastorale del Papa per favorire quel movimento di comunione ecclesiale scambievole e di carità
pastorale operativa, che dal centro arriva alla periferia e viceversa.