DI PAPA FRANCESCO,
COME TEOPSIA
Staglianò: «I due
poderosi volumi di Antonino Legname, La Teopsia di Francesco, il cui sottotitolo - Tra scienza e fede -, sottolinea la necessità irrinunciabile della
teologia di mettersi in dialogo sincero e aperto con le tante espressioni
culturali del nostro tempo, dominato dalla tecnocrazia».
Mons. Antonio Staglianò, Vescovo di Noto, annuncia il Vangelo ai giovani con la Pop-Theology |
di Antonio Staglianò
La
“teologia popolare”, o Pop-Theology, cioè una teologia per il popolo e dal
popolo - corrispondendo alle istanze missionarie impresse
all’evangelizzazione dall’Evangelii gaudium di papa Francesco – dovrebbe
concepirsi come “teologia in uscita”. La categoria linguistica e mitica di «pop»,
non si riferisce solo alla “musica pop”, ma a ciò per cui la musica, e ogni
altro genere di registro artistico, è di diritto linguaggio popolare. Con
questa precisazione “inutile” - ma doverosa, per un pregiudizio distorcente secondo
cui “pop” e “teologia” non sono termini accostabili- si può riconoscere in
Francesco un maestro e un antesignano della pop-Theology. Egli ama
dialogare con i giornalisti, più che con i filosofi. I giornalisti restano
“comunicatori popolari” e gli articoli dei giornali sono più letti dalla gente
che non i saggi dei sociologi. Il primo dialogo con Eugenio Scalfari –
sull’amore, sulla verità, sul narcisismo e sul motivo per cui Gesù è morto in
Croce, sulla speranza nell’oltre- testimonia quest’attitudine pop-teologica
di Francesco[i].
Una documentazione robusta sono i due poderosi volumi di Antonino Legname, La
Teopsia di Francesco, il cui sottotitolo – Tra scienza e fede-, sottolinea
la necessità irrinunciabile della teologia di mettersi in dialogo sincero e
aperto con le tante espressioni culturali del nostro tempo, dominato dalla
tecnocrazia. La teologia deve continuamente confrontarsi con le scienze umane,
e lasciarsi provocare dalle domande e anche dai silenzi della cultura
umanistica[ii].
La sua teopsia parte dal popolo, si
arricchisce e cresce grazie alla saggezza e alla religiosità popolare, per poi
ritornare purificata al popolo, come in un movimento di sistole e di diastole:
una teologia che viene continuamente ossigenata dal sensus fidei fidelium, perché il Popolo di Dio, possiede un proprio
«fiuto» per discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa. Per
questo, Francesco preferisce identificare la parola “popolo” con la categoria “mitica”
e storica: «Il popolo si fa in un processo, con l’impegno in
vista di un obiettivo o un progetto comune. La storia è costruita da questo
processo di generazioni che si succedono dentro un popolo. Ci vuole un mito per
capire il popolo»[iii].
Occorre allora ascoltare di più la
saggezza del Popolo di Dio che ha la capacità di comprendere il Vangelo. La teologia di Francesco è una
pop-Theology, una teologia «dal basso», popolare, cioè del popolo. Sa
«scrutare i segni dei tempi», sa dialogare con la cultura moderna, avvicinandosi
ai grandi temi della vita e del dolore umano. A chi vorrebbe relegare questa teologia
dentro i limiti angusti del pragmatismo pastorale di stampo sociologico,
Legname mostra che la teologia del Pontefice è cristocentrica, orientata alla
costruzione di un nuovo umanesimo
cristiano, popolare, solidale, inclusivo e gioioso. Qui non c’è opposizione
tra dottrina e pastorale, tra l’essere maestri e l’essere testimoni. Se Evangelii gaudium afferma «la realtà è
più grande dell’idea», intanto esprime una “bella idea” e non intende esaltare
il pragmatismo mortificando il “teorico”: non vuole dire che bisogna “fare”
senza “pensare”. La fede che non pensa scadrebbe nel “fideismo”, nella
superstizione, nel fanatismo religioso: si annulla, si ammala di religiosità
illusoria. Da qui, l’invito ai giovani a essere protagonisti della storia e non
semplici osservatori, a coltivare grandi «Idee», a «sognare ad occhi aperti», a
saper «guardare in avanti», e a coltivare una sana «utopia» che fa vedere la
spiga con il frutto, là dove gli altri vedono solo il seme caduto in terra e
sotterrato. Stupisce davvero che proprio sotto il pontificato di papa
Francesco, la Chiesa italiana abbia dismesso e non solo ingessato il Progetto
culturale orientato in senso cristiano. Chi legge, infatti, il suo
Magistero si convince facilmente che il vescovo di Roma richiede un rilancio dei
«laboratori culturali», dove si impara a dare ragione del Kerigma cristiano e della fede in Gesù di Nazareth. Certo pretende
infondere un’anima «pop» all’insegnamento teologico, ma non v’è opposizione tra
teologia e pastorale: non si può avere una “Chiesa in uscita”, senza una «teologia
in uscita», una teologia aperta e non chiusa nella torre d’avorio dei
laboratori di scienze religiose, troppo “accademicista” e “intellettualista”, perché
disincarnata e staccata dalla vita del popolo. Francesco è un “pop-teologo” perché
è il “papa della gente”: «senza
l'incontro con il Popolo di Dio, la teologia può diventare ideologia». Il suo
linguaggio semplice, immediato e costellato da tanti aneddoti e metafore, è un
linguaggio pop, alla portata di
tutti. Non si può però fare Pop-Theology senza mettersi in ginocchio. Così,
la teologia si deve fare in ginocchio, deve essere pregata e pensata. Il
teologo pensa dopo aver pregato e mentre prega pensa. Una teologia incarnata ed
inculturata, che sa annunciare il Vangelo di sempre con i mezzi e i
linguaggi nuovi, anche quelli dell’arte, della poesia e della musica, così
com’è stato evidenziato durante il recente Sinodo sui Giovani, per una
“teologia in uscita”. E’ una teologia incarnata nel vissuto del popolo che
riesce a mostrare la bellezza di Dio amore, nel Volto umano e misericordioso di
Gesù di Nazareth, che si identifica nel volto piagato e umiliato dei poveri e
degli ultimi. Allora Francesco può essere indicato come un teologo “callejero”,
cioè di «strada», in cammino sulle strade del mondo per incontrare la gente e
per portarla a Cristo: perché «i buoni teologi devono odorare di popolo e di
strada». D’altronde questo corrisponde bene a quanto è scritto nel recente
Costituzione apostolica sulle Università e Facoltà ecclesiastiche Veritatis gaudium: «c’è bisogno di una vera ermeneutica evangelica per capire
meglio la vita, il mondo, gli uomini, non di una sintesi ma di una atmosfera
spirituale di ricerca e certezza basata sulle verità di ragione e di fede (n.3). La
teologia popolare si fa – secondo Veritatis gaudium- «con la mente aperta e in ginocchio. Il
teologo che si compiace del suo pensiero completo e concluso è un mediocre. Il
buon teologo e filosofo ha un pensiero aperto, cioè incompleto, sempre aperto
al maius di Dio e della verità, sempre in sviluppo» (n.4).
[i]Papa Francesco- E.
Scalfari, Dialogo tra credenti e non credenti, Einaudi, Torino 2013. Qui
Scalfari, per rafforzare la sua tesi, secondo cui la stoffa dell’umano è il
narcisismo, da una interpretazione che non può non interessare la teologia:
“ama il prossimo tuo come te stesso” – quale comandamento del cristianesimo (!)
- confermerebbe il narcisismo universale, ma indicherebbe il tentativo
miracoloso (e alla fine fallimentare) di Gesù di fare dell’amore proprio la
misura dell’amore per gli altri, volendo così “andare oltre la natura della
bestia pensante che il Creatore aveva creato” (Ivi, p. 106).
[ii]A. Legname, La
teopsia di Francesco. Tra scienza e fede, Le Nove Muse Editrice, Catania
2017, due volumi di 1218 pagine complessive.
[iii] Ivi, p. 120.