LA SETE INESTINGUIBILE DI DIO
Francesco:
«Dobbiamo tenere viva nel mondo la
sete dell'assoluto, non permettendo che prevalga una visione della persona
umana ad una sola dimensione»
di
Antonino Legname
«Con la sua incarnazione Dio ha
posto la sua sete – perché anche Dio ha sete - nel cuore di un uomo:
Gesù di Nazaret. Dio ha sete di noi, dei nostri cuori, del nostro amore, e ha
messo questa sete nel cuore di Gesù. Dunque, nel cuore di Cristo si incontrano
la sete umana e la sete divina», ha detto Papa Francesco durante l’Angelus in
Piazza San Pietro il 25 gennaio 2015. Ma il silenzio di
Dio, coniugato con l'insopprimibile sete religiosa dell'uomo moderno, è una
questione molto seria di ieri e di oggi. Papa Francesco, il 20 marzo 2013, proprio all'inizio del suo ministero petrino, ebbe a dire: “avvertiamo
il valore di testimoniare nelle nostre società l'originaria apertura alla
trascendenza che è insita nel cuore umano”. Veramente il «bisogno religioso»
dell'uomo è inerente alla natura umana? Questo è il problema che tormenta i
pensatori esistenzialisti. “A me Dio non ha mai detto nulla”, dichiara il filosofo André Comte-Sponville.
Ma nello stesso tempo egli riconosce che ci sono credenti che in buona fede
dicono di aver stabilito una comunicazione d'amore con Dio. “Tanto meglio per
loro, se questo li aiuta. L'umanità è troppo debole, e la vita troppo
difficile, perché ci si possa permettere di sputare sulla fede di chicchessia”.
E conclude: “Io odio qualsiasi fanatismo, compreso quello ateo”. Come si
potrebbe definire il fanatismo? “È prendere la propria fede per un sapere, o
volerla imporre con la forza - spiega Comte-Sponville - La religione è un
diritto. L'irreligione anche. Bisogna dunque proteggere l'una e l'altra […]
impedendo a entrambe di imporsi con la forza”. Quando un ateo vuole a tutti i
costi dimostrare che le forme più estreme di fanatismo religioso costituiscano
la vera essenza della fede religiosa, si trasforma in un fanatico dell'ateismo,
non meno pericoloso del fanatismo fideistico. Ogni tipo di fanatismo, anche
quello ateo, è deplorevole e deve essere condannato. Una religione che non
implicasse la fede nell'uomo sarebbe un'evasione e un oppio, ma una fede
nell'uomo che non si aprisse a ciò che nell'uomo va al di là dell'uomo stesso, lo
mutilerebbe della sua dimensione
specificamente umana: la trascendenza. Papa Francesco, parlando ai vari
Rappresentanti delle diverse Chiese cristiane e delle altre religioni, il 20
marzo 2013, ebbe a dire: “Dobbiamo tenere viva nel mondo la sete dell'assoluto,
non permettendo che prevalga una visione della persona umana ad una sola
dimensione, secondo cui l'uomo si riduce a ciò che produce e a ciò che consuma:
è questa una delle insidie più pericolose del nostro tempo. Sappiamo quanta
violenza abbia prodotto nella storia recente il tentativo di eliminare Dio e il
divino dall'orizzonte dell'umanità”. Nel Discorso all'Università Roma Tre, il 17 febbraio 2017, Papa Francesco ha proposto di
“ripensare i nostri modelli economici, culturali e sociali, per recuperare il
valore centrale della persona umana” ed ha chiesto che si faccia riferimento ad
“una visione della persona in tutte le sue dimensioni, soprattutto in quella
trascendente”. Occorre mantenere viva la memoria delle realtà divine, perché –
spiega il Papa - “se manca la memoria di Dio, tutto si appiattisce, tutto va
sull’io, sul mio benessere. La vita, il mondo, gli altri, perdono la
consistenza, non contano più nulla, tutto si riduce a una sola dimensione:
l’avere”. Quando l'uomo perde il riferimento alla trascendenza e diventa
autoreferenziale tende a dimenticarsi degli altri. E “in un mondo in cui
ciascuno si pensa come la misura di tutto, non c’è più posto per il fratello” -
ha detto Francesco ai Vescovi Italiani, il 16 maggio 2016. Il grande dramma
dell'uomo d'oggi è quello di voler vivere ad una sola dimensione, quella
materiale e immanente. Questo è il rischio che anche gli uomini religiosi
possono correre. Dice il Papa: “si può fuggire da Dio essendo cristiano,
essendo cattolico, addirittura essendo prete, vescovo, Papa. Tutti possiamo
fuggire da Dio. È una tentazione quotidiana: non ascoltare Dio, non ascoltare
la sua voce, non sentire nel cuore la sua proposta, il suo invito”. Non c'è
dubbio che “la grande malattia del nostro tempo sia l’indifferenza. È un virus
che paralizza, rende inerti e insensibili, un morbo che intacca il centro
stesso della religiosità, ingenerando un nuovo tristissimo paganesimo: il paganesimo
dell’indifferenza”. Il Vescovo di Roma in tante occasioni ha denunciato
quella mentalità che emargina i più deboli: “le nostre società, infatti, sono
spesso dominate dalla cultura dello «scarto»; hanno bisogno di superare
l’indifferenza e il ripiegamento su sé stesse per apprendere l’arte della
solidarietà”. Purtroppo, ha sottolineato il Papa, “siamo abituati a questa
indifferenza, sia quando vediamo le calamità di questo mondo sia davanti alle
piccole cose. Ci si limita a dire: «Ma, peccato, povera gente, quanto soffrono»
per poi tirare dritto. Mentre l’incontro è altro: se io non guardo - non è
sufficiente vedere, no: guardare - se io non mi fermo, se io non guardo, se io
non tocco, se io non parlo, non posso fare un incontro e non posso aiutare a
fare una cultura dell’incontro”. In altre parole, devo imparare a mettermi
«nelle scarpe degli altri». Il Papa ammette che “è molto faticoso mettersi nelle
scarpe degli altri, perché spesso siamo schiavi del nostro egoismo. A un
primo livello possiamo dire che la gente preferisce pensare ai propri problemi
senza voler vedere la sofferenza o le difficoltà dell’altro”. Francesco
apprezza don Lorenzo Milani, il Priore di Barbiana, anche perché insegnava ai
suoi ragazzi a non essere indifferenti di fronte ai problemi e alle ingiustizie
della vita; il suo motto era «I care»,
cioè «mi importa». In pratica
significa che “le cose si dovevano prendere sul serio, contro il motto di moda
in quel tempo che era «non mi importa»”.