LA VERGOGNA DI SENTIRSI PECCATORE
Francesco: «È un brutto segnale voler
mettere il “naso” nella vita altrui»
di Antonino Legname
«Un segnale che una persona, che un cristiano non
sa accusare se stesso è quando è abituato ad accusare gli altri, a sparlare
degli altri, a mettere il naso nella vita altrui. È ciò un brutto segnale», ha
detto Papa Francesco nella Meditazione della Messa a Santa Marta, il 6
settembre 2018. Il Pontefice prende lo spunto dal passo evangelico della «pesca
miracolosa» e, in particolare, dall’esperienza dell’apostolo Pietro, il quale «si
avvicinò a Gesù si gettò alle sue ginocchia dicendo: “Signore, allontanati da
me perché sono un peccatore”». Questa dichiarazione di umana debolezza fu «il
primo passo decisivo di Pietro sulla strada del discepolato». Per ognuno di noi
questo riconoscimento del proprio peccato deve essere l’inizio della
conversione e della sequela a Cristo: «senza
accusare se stesso non si può camminare nella vita cristiana» - ha ricordato
Francesco. Purtroppo, c’è il rischio che diventi un’abitudine formale dire: «Sono
peccatore», come dire «Io sono umano», o «Io sono cittadino». Chi si riconosce
veramente un peccatore deve stupirsi, anzi deve provare vergogna per il proprio
peccato. Che significa accusare se stesso? Il Vescovo di Roma spiega: «accusare
se stesso è il sentimento della mia miseria, di sentirsi miserabili, misero,
davanti al Signore. Il sentimento della vergogna». E infatti «accusare se
stesso» non si può fare a parole, bisogna sentirlo nel cuore: «è sempre
un’esperienza concreta». E parlando della Confessione, il Papa ha detto che non
può essere vissuta come una seduta per abbellirsi esteriormente: «la salvezza
di Gesù non è una cosa cosmetica, che ti cambia un po’, con due pennellate ti
cambiano la faccia. È una cosa che entra dentro e trasforma». In altre parole,
la vera conversione nasce dalla vergogna di essere peccatore e approda allo «stupore
di sentirsi salvato». È veramente biasimevole puntare il dito contro i peccati
degli altri senza rendersi conto delle proprie fragilità. A questo punto –
consiglia Francesco – ci farà bene domandarci: “Io accuso me stesso o accuso
gli altri?”. E con molto realismo, il Papa fa notare che «c’è gente che vive
sparlando degli altri, accusando gli altri e mai pensa a se stesso». È un «brutto
segnale voler mettere il «naso nella vita altrui». Il Pontefice ci mette
davanti ad un’altra domanda: «quando vado a confessarmi come mi confesso, come
i pappagalli? “Bla, bla, bla, ho fatto questo, questo”». E ribadisce: «Non si
tratta di «fare cosmetica» né di «truccarsi un po’ per uscire bello». Bisogna
puntare al cuore per imparare ad accusare se stessi e per cominciare a cambiare,
ponendo la scure alla radice del proprio albero.