LA
MEMORIA DEI NOSTRI PECCATI
Francesco
esorta: «Invece di sparlare degli altri, parla
male di te stesso, accusa te stesso, ricordando i tuoi peccati»
di Antonino Legname
«Nella vita della Chiesa, tanti cristiani, tanti
santi sono stati scelti dal più basso» - ha ricordato Francesco nella
Meditazione della Messa a Santa Marta, il 21 settembre 2018 - Uno di questi è
stato Matteo, il quale prima di essere scelto come Apostolo «era un pubblicano,
cioè un corrotto, perché per i soldi tradiva la patria. Un traditore del suo
popolo: il peggio». Veramente i criteri con cui Dio sceglie non sono i nostri
criteri umani. Qualcuno, infatti, di fronte alla scelta di Matteo, il pubblico
peccatore, potrebbe obiettare: «Gesù non ha buon senso per scegliere la gente»,
come ha potuto scegliere tra tanti altri» proprio questa persona che veniva «dal
peggio, proprio dal niente, dal posto più disprezzato?». E chi siamo noi per
giudicare gli altri e per puntare il dito contro quelli che riteniamo peccatori
e impuri. Abbiamo, forse, dimenticato quello che Gesù ha detto: “per favore,
non guardare la pagliuzza negli occhi altrui; guarda cosa hai tu nel tuo
cuore”». Purtroppo – come ha evidenziato Francesco - «è più divertente sparlare
degli altri: sembra una cosa bellissima»; e paragona il pettegolezzo e il
chiacchiericcio alle «caramelle al miele, che sono buonissime: tu prendi una, è
buona; prendi due, è buona; tre... prendi mezzo chilo e ti fa male lo stomaco e
stai male». Quando si fa forte la tentazione di parlare male degli altri, è
bene ricordare «da dove il Signore ti ha scelto». Avere memoria dei nostri
peccati e delle nostre miserie umane ci aiuta a non giudicare gli altri; pensare
alla misericordia che il Signore ha avuto dei miei peccati, mi fa essere
misericordioso verso i peccati del mio prossimo. Non bisogna mai perdere la
memoria delle nostre origini e del posto che occupavo prima di essere scelto e
chiamato dal Signore. Matteo fu preso «dal peggio» e collocato «al posto più
alto», fu costituito apostolo. E cosa ha fatto quando fu chiamato? – si domanda
il Papa – Forse, si vestì di lusso? Incominciò a dire “io sono il principe
degli apostoli, con voi”, “Qui comando io?” «No! – esclama Francesco – Egli sapeva
che era stato scelto «dal più basso» e collocato nel posto «più alto»; e con
questa consapevolezza ha speso tutta la vita per il Vangelo» e lo ha scritto,
con tanta pazienza, nella lingua aramaica. Invece – ha messo in guardia il Pontefice - «quando l’apostolo dimentica le sue origini e incomincia a fare
carriera, si allontana dal Signore e diventa un funzionario … un sistematore di
piani pastorali, di tante cose; ma alla fine, un affarista, un affarista del regno
di Dio». Matteo, dopo aver sperimentato la misericordia di Gesù, cambia vita
fino «al punto di lasciare sul tavolo l’amore della sua vita: i soldi». Il
pubblicano – annota il Papa - «lasciò la corruzione del suo cuore, per seguire
Gesù». E da qui è cominciata la festa; Gesù è andato a pranzo «con quel
sindacato di pubblicani» facendo capire a coloro che si scandalizzavano che «non
sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati: “Misericordia voglio e
non sacrifici”». Questo è «il disegno di misericordia» di Dio. Papa Francesco ammette
che «capire la misericordia del Signore è un mistero; ma il mistero più grande,
più bello, è il cuore di Dio». E Gesù è venuto a rivelarci il cuore
misericordioso del Padre. Pertanto, - conclude il Vescovo di Roma - «se tu vuoi arrivare proprio
al cuore di Dio, prendi la strada della misericordia e lasciati trattare con
misericordia».