Ubi Petrus, ibi Ecclesia: "Dove c'è Pietro, lì c'è la Chiesa" (Sant'Ambrogio, Explanatio Psalmi XL, 30, 5)

sabato 29 settembre 2018

INTERNET NON SIA UNA RETE DI FILI MA DI PERSONE


DALLE COMMUNITY ALLA COMUNITA’
Francesco: «Fino a che punto si può parlare di vera comunità di fronte alle logiche che caratterizzano alcune community nei social network


di Antonino Legname

«Siamo membra gli uni degli altri» (Ef 4,25). Dalle community alle comunità, è questo il tema che Papa Francesco, oggi 29 settembre 2018, ha scelto per celebrare la 53a  GiornataMondiale delle Comunicazioni Sociali 2019. Il Pontefice spiega il significato del tema proposto: «restituire alla comunicazione una prospettiva ampia, fondata sulla persona» e porre «l’accento sul valore dell’interazione intesa sempre come dialogo e come opportunità di incontro con l’altro». È quanto mai urgente riflettere sulla natura delle relazioni in Internet, specialmente nei cosiddetti social web. Occorre domandarsi: «fino a che punto si può parlare di vera comunità di fronte alle logiche che caratterizzano alcune community nei social network?». Basta far parte di una comunità digitale in «rete» per stabilire relazioni autenticamente umane?
Il Pontefice mentre ribadisce l’importanza di Internet, si augura che diventi sempre di più «un luogo ricco di umanità, non una rete di fili ma di persone umane». Anche il Papa è in Rete attraverso i nuovi spazi tecnologici della comunicazione, specialmente con gli account personali @Pontifex su Twitter e il profilo @Franciscus su Instagram. Una breve riflessione sul rapporto tra Religione e Mondo digitale: da una parte c'è chi sostiene che l'idea di un Dio onniveggente, che vede ogni essere umano e sa quello che ogni individuo fa in ogni istante, sia un'immagine infantile e un'idea cervellotica, e, secondo alcuni, è uno strumento di intimidazione nelle mani della religione. «Stai attento, Dio ti vede!». Dall'altra parte, però, questo potere di onniveggenza viene attribuito alla scienza e al progresso tecnologico: l'installazione dei satelliti che controllano e trasmettono immagini di ogni tipo, i navigatori satellitari capaci di guidare e di localizzare tutto, la scienza informatica e di internet che in una frazione di secondo immette in rete una quantità inimmaginabile di impulsi e di movimenti da un capo all'altro del mondo. Insomma, oggi tutti siamo osservati dal grande occhio della scienza tecnologica e tutto è sotto controllo. E allora perché dovrebbe essere così assurdo credere che il progettista e il creatore delle leggi dell'universo, e di tutte le potenzialità del cervello umano, sia in grado di vedere e di controllare ogni cosa? Ciò che oggi è urgente non è dar vita ad una religione atea contro una religione teista, ma lottare contro l'idolatria della tecnocrazia e dello scientismo; è qui che si potrebbe trovare una fede comune e un po' più di umiltà e di amore fraterno. Ai Vescovi del Messico Papa Francesco ha detto che in questo nostro mondo globalizzato “l’irreversibile ibridazione della tecnologia rende vicino ciò che è lontano ma, purtroppo, rende distante ciò che dovrebbe essere vicino”. Il pericolo della società di oggi è quello di vedere l'uomo costruttore di macchine, trasformarsi in macchina e in automa. Richard Swinburne diceva che: “la natura […] è una macchina per fabbricare macchine […], gli uomini fabbricano non soltanto macchine, ma anche macchine che fabbricano macchine”.
Non è forse vero che siamo arrivati al paradosso di vedere macchine che agiscono come uomini e uomini che agiscono come macchine? In questo sistema, l'«intelligenza pratica» dell'uomo aumenta, mentre la «ragione umanistica» diminuisce. L'intelligenza umana è un potente strumento materiale per inventare e costruire macchine sempre più sofisticate, mentre la “ragione” viene mortificata per il semplice fatto che viene destituita della sua forza teleologica, cioè della sua capacità di orientare verso un buon fine tutto ciò che l'uomo produce. Il paradosso della società di oggi è che possiamo avere molti uomini intelligenti ma pochi uomini razionali; cioè uomini che cercano in tutti i modi di dominare la natura con la loro intelligenza, costruendo macchine, e le macchine alla fine dominano l'uomo e minacciano l'umanità: si tratta di «intelligenza irrazionale». Incontrando alcuni scienziati, il 10 aprile 2017, Papa Francesco ha voluto ricordare il salutare principio, secondo il quale «le scienze e le tecnologie sono fatte per l’uomo e per il mondo, non l’uomo e il mondo per le scienze e le tecnologie»; ed ha auspicato che «esse siano al servizio di una vita dignitosa e sana per tutti, nel presente e nel futuro, e rendano la nostra casa comune più abitabile e solidale, più curata e custodita”. In altre parole, occorre con urgenza dare o ridare al progresso scientifico e tecnologico la dimensione umana e spirituale. L'uomo deve imparare a superare la dicotomia tra la fede cieca nell'opera delle proprie mani e la fede in un Dio trascendente.

ASPETTANTO IL SINODO SUI GIOVANI: PER IMPARARE AD ABITARE LO SPAZIO DIGITALE


IL MONDO A PORTATA DI CLICK


Francesco: “L’ambiente digitale è una piazza, un luogo di incontro, dove si può accarezzare o ferire, avere una discussione proficua o un linciaggio morale



di Antonino Legname

Nello «Strumento di Lavoro» preparato per il Sinodo su «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», che si svolgerà in Vaticano dal 3 al 28 ottobre 2018, emerge tra l’altro con evidente chiarezza «quanto sia pervasiva la presenza dei media digitali e sociali nel mondo giovanile» (n. 34). È forte e determinante l’impatto dei social media sulla vita dei giovani d’oggi. Non si può sottovalutare il grande potenziale che ha la tecnologia digitale di rendere il mondo un «villaggio globale» a «portata di click». Se da una parte gli ambienti digitali avvicinano e uniscono i giovani, che vivono in contesti sociali, culturali e geografici distanti, dall’altra parte c’è il rischio della cosiddetta «dark web», cioè quel «territorio di solitudine, manipolazione, sfruttamento e violenza» che la tecnologia digitale può creare e favorire nel mondo giovanile con «forme di isolamento, pigrizia, desolazione e noia» (ibid.). È troppo evidente che i giovani d’oggi sono consumatori voraci di prodotti multimediali, e la nascita dei social media ha intensificato il potere delle aziende del settore della comunicazione digitale, che ha il potere di influenzare le scelte e i comportamenti delle nuove generazioni (cfr. n. 35).
Ma quali sono gli effetti antropologici del mondo digitale? Al n. 57 dello «Strumento di Lavoro» si offre questa risposta: «Da un punto di vista antropologico, l’irruzione delle tecnologie digitali sta cominciando ad avere impatti profondissimi sulla nozione di tempo e di spazio, sulla percezione di sé, degli altri e del mondo, sul modo di comunicare, di apprendere, di informarsi». In altre parole, i giovani si accostano alla realtà quasi esclusivamente attraverso le immagini; pertanto, ascoltano poco e leggono ancor meno. «Un uso superficiale dei media digitali espone al rischio di isolamento, anche estremo […] e di rifugio in una felicità illusoria e inconsistente che genera forme di dipendenza» (n. 58). Se i giovani non vengono formati all’uso corretto degli spazi digitali rischiano di alienarsi dalla realtà, e di immergersi in un mondo parallelo e ingannevole che raffredda le relazioni umane e che tante volte mortifica e ignora la dignità umana. Altri rischi legati all’uso scorretto dei mezzi digitali includono: «perdita di identità collegata a una rappresentazione errata della persona, costruzione virtuale della personalità e perdita del radicamento sociale». In sintesi, si rischia di vivere dentro una «cultura e una dittatura dell’apparenza». Cosa può fare la Chiesa per aiutare i giovani ad abitare correttamente il mondo digitale? Anzitutto deve dialogare di più con i giovani, imparando a conoscere meglio il loro linguaggio, ed entrando con rispetto e prudenza nei loro spazi digitali, in particolare Internet. Non c’è dubbio che la Nuova Evangelizzazione debba attraversare con coraggio profetico il terreno delle nuove tecnologie, se vuole incontrare i giovani d’oggi per aiutarli a difendersi dai tanti pericoli che si trovano nel mondo digitale, come per esempio: la pornografia, gli abusi in rete sui minori, il cyberbullismo (cfr. 160).
Senza voler essere, né apocalittica né integrata nei confronti degli strumenti di comunicazione sociale, la Chiesa dovrebbe conoscere e valorizzare di più gli spazi digitali, in particolare, i social media, che come un liquido amniotico nutrono e formano le nuove generazioni. È un modo concreto di incontrare i giovani dentro il loro universo digitale, per poter evangelizzare questa nuova cultura che plasma le nuove generazioni (cfr. 161). Pertanto, i nuovi strumenti della comunicazione sociale, se utilizzati bene, possono essere una finestra aperta sul mondo globalizzato. «Anche e-mail, sms, reti sociali, chat possono essere forme di comunicazione pienamente umane» – ha scritto Papa Francesco nel Messaggio per la 50.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. La tecnologia in se stessa è neutrale, non determina il modo di comunicare. L'uso corretto o scorretto dei mass media dipende dall'uomo, il quale può utilizzare le reti sociali per favorire le relazioni e per promuovere il bene della società, oppure  può abusare di tali strumenti per offendere, diffamare e creare divisione tra le persone e i gruppi. Il Vescovo di Roma ha evidenziato che “l’ambiente digitale è una piazza, un luogo di incontro, dove si può accarezzare o ferire, avere una discussione proficua o un linciaggio morale” (ibid.).

giovedì 27 settembre 2018

LO STORICO ACCORDO TRA SANTA SEDE E CINA


 UNA PAGINA NUOVA PER I CATTOLICI CINESI
Francesco: «La Cina è una terra ricca di grandi opportunità»



 di Antonino Legname

Durante il volo di ritorno da Tallinn (Estonia)  a Roma, il 25 settembre 2018, Papa Francesco, parlando con i giornalisti del recente «Accordo» – anche se «Provvisorio» - siglato nei giorni scorsi a Pechino tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese, ha detto che «non è un’improvvisazione», ma è frutto di un cammino lungo e paziente e che alla fine è Lui «il responsabile» della firma. Il Pontefice ci tiene a precisare che «quando si fa un accordo di pace o un negoziato, ambedue le parti perdono qualcosa, questa è la regola … E si va avanti. Questo processo è andato così: due passi avanti, uno indietro, due avanti, uno indietro…; poi sono passati mesi senza parlarsi, e poi… Sono i tempi di Dio, che assomigliano al tempo cinese: lentamente…». E dopo lo storico «Accordo Provvisorio» con la Cina, il Vescovo di Roma, il 26 settembre 2018, ha voluto indirizzare un Messaggio aiCattolici Cinesi e alla Chiesa Universale. Il Pontefice è consapevole del fatto che in questi ultimi tempi si è venuta a creare tanta confusione nei cuori di tanti cattolici cinesi, alimentando dubbi e perplessità, soprattutto a causa di opinioni, considerazioni e «voci» contrastanti sul presente e sul futuro delle comunità cattoliche in Cina. Nello stesso tempo, però, molti altri hanno mantenuto un atteggiamento di fiducia e di speranza verso «un avvenire più sereno per una feconda testimonianza della fede in terra cinese».
Francesco e il Card. cinese John Tong
Francesco non dimentica le sofferenze di tanti cattolici cinesi, e le esperienze dolorose, fino al sacrificio della vita, di tanti fedeli e Pastori, che oggi costituiscono un prezioso «tesoro spirituale della Chiesa in Cina e di tutto il Popolo di Dio pellegrinante sulla terra». Papa Francesco confida di aver sempre guardato la «Cina come a una terra ricca di grandi opportunità e al Popolo cinese come artefice e custode di un inestimabile patrimonio di cultura e di saggezza». Oggi la Chiesa cattolica e la Cina fanno un passo molto importante per crescere nella reciproca amicizia, fatta di dialogo, di rispetto e di reciproca volontà di «camminare insieme per costruire un futuro comune di più alta armonia». Il Pontefice tiene a precisare che l’Accordo Provvisorio, «è frutto del lungo e complesso dialogo istituzionale della Santa Sede con le Autorità governative cinesi». Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avevano molto lavorato, affinché si creassero le condizioni necessarie, non solo per promuovere l’annuncio del Vangelo tra il Popolo cinese, ma anche «per raggiungere e conservare la piena e visibile unità della Comunità cattolica in Cina». La Chiesa, sostenuta da una «fede pura», è chiamata ad uscire da se stessa per andare in qualunque latitudine e longitudine ad incontrare e abbracciare gli uomini d’oggi, che vivono «gioie e speranze», «tristezze e angosce», «povertà e sofferenza». Un elemento fondamentale per ricostituire «la piena e visibile unità» della Chiesa in Cina, è «la questione delle nomine episcopali». 
Questo è stato il «pomo della discordia» che aveva impedito fino ad oggi il raggiungimento di un Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese. Finalmente, si mette la parola fine al «fenomeno della clandestinità» che aveva creato una netta separazione tra i Vescovi cinesi fedeli al Papa cosiddetti «clandestini» e quelli sottomessi al Governo, considerati «ufficiali». Si tratta – ha spiegato il Papa - «di debolezza e di errori» di Vescovi, i quali, non poche volte, hanno dovuto subire una «forte e indebita pressione esterna» da parte delle autorità civili. Oggi si volta pagina e si scrive un nuovo capitolo inedito nella Storia della Chiesa. Intanto, il Papa ha «deciso di concedere la riconciliazione ai rimanenti sette Vescovi “ufficiali” ordinati senza Mandato Pontificio e, avendo rimosso ogni relativa sanzione canonica, di riammetterli nella piena comunione ecclesiale». Occorre fare di tutto per sanare le ferite del passato e per «ristabilire la piena comunione di tutti i Cattolici cinesi»; inoltre, il Pontefice auspica l’inizio di una «fase di più fraterna collaborazione». Ancora non conosciamo i termini precisi dell’«Accordo Provvisorio», che – come spiega il Papa - «pur limitandosi ad alcuni aspetti della vita della Chiesa ed essendo necessariamente perfettibile, può contribuire – per la sua parte – a scrivere questa pagina nuova della Chiesa cattolica in Cina». È un dato di fatto che per la prima volta, tra la Santa Sede e  le Autorità del Governo cinese, è stato raggiunto un Accordo che «introduce elementi stabili di collaborazione», e una maggiore garanzia per «assicurare alla Comunità cattolica buoni Pastori». Papa Francesco chiede a tutti i Cattolici cinesi, Clero e laici, di adoperarsi con impegno per «cercare insieme buoni candidati che siano in grado di assumere nella Chiesa il delicato e importante servizio episcopale». D’altra parte non si può pensare e pretendere che lo strumento giuridico dell’Accordo, riesca a risolvere tutti i problemi della Comunità cattolica in Cina; occorre, anzitutto, la volontà e l’impegno di tutti per mantenere l’unità, superando le dolorose divisioni del passato. Infine, il Pontefice – dopo aver esortato i Cattolici cinesi ad essere «buoni cittadini», rispettosi delle leggi e delle tradizioni del loro Paese, sempre a servizio del bene comune -  ha rivolto un accorato appello ai Vescovi e alle persone consacrate affinché non diventino «burocrati e funzionari», ma «missionari appassionati», capaci di andare «controcorrente» rimanendo saldi nel Signore. E rivolgendosi ai Governanti della Repubblica Popolare Cinese, Francesco ha rinnovato l’invito a voler proseguire «con fiducia, coraggio e lungimiranza, il dialogo da tempo intrapreso». E nello stesso tempo ha assicurato che «la Santa Sede continuerà ad operare sinceramente per crescere nell’autentica amicizia con il Popolo cinese». Da parte della Chiesa c’è il forte desiderio di «scrivere una pagina di più serena e concreta collaborazione» con le Autorità e con il Popolo cinese; e senza pretendere privilegi, il Papa chiede che si possa crescere insieme nell’amicizia e nel  reciproco rispetto.

venerdì 21 settembre 2018

L’ESPERIENZA DI MATTEO "IL PUBBLICANO": «DAL PEGGIO AL POSTO PIU’ ALTO»


LA MEMORIA DEI NOSTRI PECCATI
Francesco esorta: «Invece di sparlare degli altri, parla male di te stesso, accusa te stesso, ricordando i tuoi peccati»

Vocazione di San Matteo - Caravaggio - Chiesa San Luigi dei Francesi a Roma

di Antonino Legname

«Nella vita della Chiesa, tanti cristiani, tanti santi sono stati scelti dal più basso» - ha ricordato Francesco nella Meditazione della Messa a Santa Marta, il 21 settembre 2018 - Uno di questi è stato Matteo, il quale prima di essere scelto come Apostolo «era un pubblicano, cioè un corrotto, perché per i soldi tradiva la patria. Un traditore del suo popolo: il peggio». Veramente i criteri con cui Dio sceglie non sono i nostri criteri umani. Qualcuno, infatti, di fronte alla scelta di Matteo, il pubblico peccatore, potrebbe obiettare: «Gesù non ha buon senso per scegliere la gente», come ha potuto scegliere tra tanti altri» proprio questa persona che veniva «dal peggio, proprio dal niente, dal posto più disprezzato?». E chi siamo noi per giudicare gli altri e per puntare il dito contro quelli che riteniamo peccatori e impuri. Abbiamo, forse, dimenticato quello che Gesù ha detto: “per favore, non guardare la pagliuzza negli occhi altrui; guarda cosa hai tu nel tuo cuore”». Purtroppo – come ha evidenziato Francesco - «è più divertente sparlare degli altri: sembra una cosa bellissima»; e paragona il pettegolezzo e il chiacchiericcio alle «caramelle al miele, che sono buonissime: tu prendi una, è buona; prendi due, è buona; tre... prendi mezzo chilo e ti fa male lo stomaco e stai male». Quando si fa forte la tentazione di parlare male degli altri, è bene ricordare «da dove il Signore ti ha scelto». Avere memoria dei nostri peccati e delle nostre miserie umane ci aiuta a non giudicare gli altri; pensare alla misericordia che il Signore ha avuto dei miei peccati, mi fa essere misericordioso verso i peccati del mio prossimo. Non bisogna mai perdere la memoria delle nostre origini e del posto che occupavo prima di essere scelto e chiamato dal Signore. Matteo fu preso «dal peggio» e collocato «al posto più alto», fu costituito apostolo. E cosa ha fatto quando fu chiamato? – si domanda il Papa – Forse, si vestì di lusso? Incominciò a dire “io sono il principe degli apostoli, con voi”, “Qui comando io?” «No! – esclama Francesco – Egli sapeva che era stato scelto «dal più basso» e collocato nel posto «più alto»; e con questa consapevolezza ha speso tutta la vita per il Vangelo» e lo ha scritto, con tanta pazienza, nella lingua aramaica. Invece – ha messo in guardia il Pontefice - «quando l’apostolo dimentica le sue origini e incomincia a fare carriera, si allontana dal Signore e diventa un funzionario … un sistematore di piani pastorali, di tante cose; ma alla fine, un affarista, un affarista del regno di Dio». Matteo, dopo aver sperimentato la misericordia di Gesù, cambia vita fino «al punto di lasciare sul tavolo l’amore della sua vita: i soldi». Il pubblicano – annota il Papa - «lasciò la corruzione del suo cuore, per seguire Gesù». E da qui è cominciata la festa; Gesù è andato a pranzo «con quel sindacato di pubblicani» facendo capire a coloro che si scandalizzavano che «non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati: “Misericordia voglio e non sacrifici”». Questo è «il disegno di misericordia» di Dio. Papa Francesco ammette che «capire la misericordia del Signore è un mistero; ma il mistero più grande, più bello, è il cuore di Dio». E Gesù è venuto a rivelarci il cuore misericordioso del Padre. Pertanto, - conclude il Vescovo di Roma - «se tu vuoi arrivare proprio al cuore di Dio, prendi la strada della misericordia e lasciati trattare con misericordia».

giovedì 20 settembre 2018

«IL CAVALLO DI BATTAGLIA DEL DIAVOLO È L’IPOCRISIA»


LO SCANDALO DEGLI IPOCRITI
Francesco: «Gli ipocriti sono incapaci di incontrare l’amore perché hanno il cuore chiuso, nelle proprie idee, nelle proprie dottrine, nella propria legalità»




di Antonino Legname

Chi sono gli ipocriti? Sono quelli che «si scandalizzano» - ha detto Papa Francesco nell’Omelia della Messa a Santa Marta, il 20 settembre 2018 –  sono quelli che si sentono giusti e puri, degni di salvezza per i propri meriti esterni, e che si strappano le vesti di fronte a coloro che sono ritenuti pubblici peccatori: “Ma guarda, quale scandalo! Non si può vivere così! Abbiamo perduto i valori... Adesso tutti hanno il diritto di entrare in chiesa, anche i divorziati, tutti. Ma dove stiamo?”». E questo è «lo scandalo degli ipocriti» - ribadisce il Pontefice. 

Nei confronti degli ipocriti, Gesù usa parole forti quando, per esempio, li paragona ai «sepolcri imbiancati», belli all’esterno, «ma dentro putredine e marciume». Proprio «così è l’anima degli ipocriti». Nel corso dei secoli, la Chiesa è stata sempre perseguitata dagli ipocriti, i quali, spinti da una forza diabolica, fanno di tutto per distruggere la gente, la società e la Chiesa. Se un peccatore si pente, il diavolo – ha detto Francesco – non può fare nulla, è impotente; ma diventa forte con gli ipocriti. Infatti, «il cavallo di battaglia del diavolo è l’ipocrisia, perché lui è un bugiardo: si fa vedere come principe potente, bellissimo, e da dietro è un assassino». Le parole di Papa Francesco sono come un aratro che scava in profondità nel cuore arido degli ipocriti, i quali «sono incapaci di incontrare l’amore perché hanno il cuore chiuso, nelle proprie idee, nelle proprie dottrine, nella propria legalità». Ma anche all’ipocrita pentito, disposto a cambiare il suo atteggiamento rigorista e legalista, Gesù offre il suo perdono e la sua misericordia.

mercoledì 19 settembre 2018

QUANDO UN PARROCO CONOSCE ANCHE IL NOME DEI CANI!


IL PRETE VICINO ALLA GENTE
Francesco: «Io ho fatto il parroco: è il lavoro più bello che ho fatto»



di Antonino Legname

Il 17 settembre 2018 Papa Francesco ha ricevuto in udienza un gruppo di giovani francesi della diocesi di Grenoble-Vienne. Alla domanda di Noemi: «Santo Padre: se Lei si trovasse a prendere in carico una parrocchia, oggi, quale sarebbe la prima cosa che farebbe?», Papa Francesco risponde: «Non so qual è stata la prima cosa che ho fatto, non me lo ricordo. Ma penso che, se oggi fossi nominato parroco, la prima cosa che farei sarebbe andare lì, aprire la porta della chiesa, stare seduto lì ad accogliere la gente». Non è un mistero che a Francesco piace tanto stare in mezzo alla gente. Se fosse parroco gli piacerebbe andare in giro per il quartiere della parrocchia a salutare e a conoscere i suoi parrocchiani: «“Come ti chiami? Piacere…” Guardare negli occhi». Un parroco deve stare vicino alla sua gente. E a proposito di questa «vicinanza», il Papa racconta un aneddoto: «Una volta, ho conosciuto un parroco – non era un parroco, era nel servizio diplomatico della Santa Sede – ma era stato parroco prima di entrare. E lui mi diceva: “Io ero tanto felice nel villaggio dove ero parroco. Conoscevo ogni persona, conoscevo anche i nomi dei cani!”. È bello questo! E’ lì, sta vicino, conosce tutto». Quando un prete arriva a conoscere anche il nome dei cani dei suoi parrocchiani, è segno di grande zelo pastorale. Ovviamente, stare vicino alla gente può anche stancare, perché quando le persone hanno fiducia nel loro prete, diventano esigenti: «vengono, ti chiedono, ti dicono...». E c’è un’altra cosa che Francesco farebbe se fosse parroco: consigliare alla gente di «non chiacchierare». Il Pontefice ha parlato così tanto del terrorismo delle chiacchiere nella chiesa da convincersi che quando «una parrocchia impara a non chiacchierare l’uno dell’altro è santa». E con il sorriso sulle labbra ha riferito il racconto divertente di un prete francese:  «nella parrocchia c’era una signora che sparlava di tutti, una chiacchierona. La sua casa era vicina alla finestra della parrocchia, al punto che lei poteva vedere l’interno della chiesa. Un giorno quella donna si è ammalata. E ha chiamato il parroco e gli ha detto: “Padre, io non posso andare alla Messa, a fare la Comunione, Lei me la può portare?”. E il parroco, cosa ha risposto? “Ma signora, non è necessario, con la lingua che ha Lei, dalla sua finestra arriva al Tabernacolo!”». Papa Francesco non si stanca di ripetere che «sparlare è una cosa brutta». E consiglia una medicina per mortificare questa cattiva abitudine delle chiacchiere: «morditi la lingua». Quando si sparla degli altri, si prova un gusto piacevole all’inizio, ma poi resta l’amaro nel cuore. E a chi sente la vocazione al sacerdozio o alla vita religiosa, il Papa consiglia: «Tu vuoi essere prete? Devi essere un uomo vero che va avanti. Tu vuoi essere suora? Devi essere una donna matura che va avanti. Mai rinnegare l’umanità». I preti, i religiosi e le suore devono essere, anzitutto, persone normali: «perché il male che fa un sacerdote nevrotico è terribile! E il male che può fare una suora nevrotica è terribile!». E infine, è importante e necessario che il prete viva la dimensione comunitaria, perché un prete solo è un prete in pericolo; un prete isolato dalla comunità – ha detto Francesco - «è uno “zitellone”». Il prete deve essere educato alla paternità e alla fraternità spirituale; deve essere spiritualmente fecondo, altrimenti inaridisce e vive male il suo celibato sacerdotale.

«ONORARE I GENITORI: CI HANNO DATO LA VITA»



Francesco: «La nostra infanzia è un po’ come un inchiostro indelebile, anche se alcuni tentano di nascondere le ferite delle proprie origini»


 di Antonino Legname

Papa Francesco, commentando il quarto comandamento, durante la Catechesi del 19 settembre 2018 in Piazza S. Pietro, ha esortato ad onorare i nostri genitori, anzitutto perché «ci hanno dato la vita». Pertanto, consiglia il Pontefice: «Se tu ti sei allontanato dai tuoi genitori, fa’ uno sforzo e torna, torna da loro; forse sono vecchi». A volte il rapporto tra genitori e figli è conflittuale e problematico, ma se vogliamo essere felici dobbiamo «onorare il padre e la madre», perché questo – come ci assicura la Bibbia - «porta ad una lunga vita felice». È vero che la relazione con i genitori, a partire dall’infanzia, segna la vita dei figli, e lascia una profonda impronta. E se il rapporto è stato difficile i risvolti negativi si manifestano nel corso di tutta la vita. Infatti, dice il Papa, si può capire facilmente «se qualcuno è cresciuto in un ambiente sano ed equilibrato». Così come si può altrettanto percepire «se una persona viene da esperienze di abbandono o di violenza». E usando un’immagine, il Pontefice dice che «la nostra infanzia è un po’ come un inchiostro indelebile, si esprime nei gusti, nei modi di essere, anche se alcuni tentano di nascondere le ferite delle proprie origini». Non esistono genitori perfetti, ma padri e madri che, per vocazione, devono amare i figli a fondo perduto. È questo il mestiere dei genitori: amare i figli senza pretendere di essere ricambiati. E i figli hanno il dovere di «onorare», di sostenere, di rispettare il padre e la madre «a prescindere dai loro meriti». Francesco mette in conto che «non tutti i genitori sono buoni e non tutte le infanzie sono serene», ma questo non impedisce che «tutti i figli possono essere felici»; e spiega: «perché il raggiungimento di una vita piena e felice dipende dalla giusta riconoscenza verso chi ci ha messo al mondo». 
Il Pontefice pensa a tutti coloro che hanno sofferto durante la loro infanzia e giovinezza e «che vengono da storie di dolore»; e assicura che «l’uomo, da qualunque storia provenga, riceve da questo comandamento l’orientamento che conduce a Cristo» e, dunque, alla felicità. Anche le ferite del passato possono avere un senso se sappiamo leggerle alla luce della fede, ponendoci la domanda, non tanto sul «perché?», ma «per chi?» ho sofferto: «per chi mi è successo questo. In vista di quale opera Dio mi ha forgiato attraverso la mia storia?». Non è sempre facile trovare la risposta a questo enigma esistenziale; ma in ogni caso – conclude il Vescovo di Roma – bisogna «onorare i genitori» e mai insultarli: «Mai si insulta la mamma, mai insultare il papà. Mai! Mai!».

lunedì 17 settembre 2018

NELLE PAROLE DELL’ARCIVESCOVO DI PALERMO L'AMORE PER IL PAPA


«TI VOGLIAMO BENE, FRANCESCO!»

Lorefice: «Non siamo adulatori, ma vogliamo dirLe stasera che siamo con Lei, siamo con il Papa!»

Incontro di Papa Francesco con i giovani in Piazza Politeama a Palermo


di Antonino Legname

Quando Francesco è entrato nella Cattedrale di Palermo, nel primo pomeriggio del 15 settembre 2018, è risuonato forte il grido dei sacerdoti, dei religiosi e dei seminaristi: «Viva il Papa! Viva il Papa! Viva il Papa!». Ero presente ed ho sentito un brivido di commozione, perché ho percepito sensibilmente l’affetto e la devozione del clero e delle persone consacrate nei confronti del Vicario di Cristo. E l’Arcivescovo di Palermo, Mons. Lorefice si è fatto portavoce dei sentimenti di affetto e di vicinanza al Papa di tutto il popolo dei consacrati: «Sono qui il clero di Palermo e tanti altri sacerdoti delle diocesi siciliane, per dirLe: “Papa Francesco, siamo con Lei. La sosteniamo con la preghiera. E ci sentiamo sostenuti dalla Sua preghiera e dalla Sua conferma”». Lorefice ha assicurato a Papa Francesco l’amore e il sostegno, della Chiesa siciliana, ancora di più oggi in questi momenti difficili, in cui «i marosi di forze estranee alla logica del Vangelo tentano di abbattersi sul Suo ministero e sulla Sua persona per bloccare il Suo anelito ad una Chiesa testimone audace del Vangelo, con Cristo e come Cristo povera, aperta, in uscita, amica degli uomini, “di tutti e in particolare dei poveri”». E in occasione dell’incontro del Papa con i giovani, in Piazza Politeama a Palermo, Lorefice ha rivolto al Santo Padre parole accorate di gratitudine e cariche di affetto filiale: «Noi stasera La abbracciamo e per questo siamo ‘nella’ verità. Non siamo adulatori del Papa. Non lo siamo stati e non lo saremo mai. Non ci interessano le esaltazioni fittizie, le ambigue vicinanze, le prostrazioni viscide, sempre ad un passo dalla piaggeria, dall’untuosità, dall’idolatria. Non siamo adulatori, ma vogliamo dirLe stasera che siamo con Lei, siamo con il Papa! Questi giovani siciliani e noi tutti qui presenti siamo con Lei». L’arcivescovo di Palermo, avendo incontrato in diverse occasioni Francesco, ha confidato: «Sono rimasto sempre impressionato dalla serenità interiore e dalla gioia con cui fronteggia anche le difficoltà e gli attacchi più duri». E a conclusione della celebrazione Eucaristica al Foro Italico, Umberto I di Palermo, il Pastore della Chiesa di Palermo si è rivolto al Papa, assicurandoGli «la nostra vicinanza, la nostra gratitudine, la nostra fedeltà: in ogni momento, sereno o difficile, può contare su di noi» - ha detto Lorefice, il quale in piazza Politeama, ha voluto salutare il Papa con il linguaggio e la sensibilità dei giovani d’oggi: «Ti vogliamo bene, Francesco! Prega per noi».

IL CAMMINO DELLA FELICITA’


LA LOGICA DEL CONTRARIO
Francesco: «Il grande accusatore, Satana, ci spinge ad accusare gli altri, per distruggerli»
 



 di Antonino Legname

La logica del Vangelo è una «logica rivoluzionaria», perché è «la logica del contrario rispetto allo spirito del mondo», ha detto Papa Francesco nella Meditazione della Messa a Santa Marta, il 13 settembre 2018. La strada che ci indica il Vangelo non è in pianura o in discesa, e – avverte il Pontefice - «essere cristiano non è facile. Ma ci fa felici. È il cammino della felicità, della pace interiore». Nel Vangelo, il Signore ci offre lo stile di vita del vero discepolo e ci dà segnali per avanzare nel cammino». Ci sono quattro comandamenti che di primo acchito, secondo la logica del mondo, sono una vera «pazzia»: “amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male”. Com’è possibile che Gesù chieda così tanto ai suoi discepoli? Sembra innaturale amare chi mi ha fatto del male e mi è nemico. Come faccio ad amare chi mi odia e mi vuole distruggere? Ho diritto a odiarli? La risposta del Papa è chiara: non solo bisogna amare i nemici, ma occorre pregare e fare del bene a quelli che ci odiano e ci vogliono distruggere. Non si deve fare tanta fatica per capire che c’è «contrasto» tra ciò che appare normale per il mondo e ciò che viene chiesto al cristiano: «Se tu sai che qualcuno ti odia ed è nel bisogno, ha qualche necessità o passa per una situazione difficile, fai del bene» - suggerisce Francesco. E non ci vuole molto a capire che odiare qualcuno, portare rancore agli altri è troppo pericoloso per la salute del corpo e dello spirito; è come un acido che corrode il cuore di chi cova dentro tali sentimenti negativi. 
Alle maledizioni – consiglia Francesco – bisogna rispondere con le benedizioni: «Ti ha maledetto? Tu benedicilo». Se all’odio rispondiamo con l’odio si finisce per fare la guerra. Invece, il Signore ci ha insegnato, non solo a perdonare, ma anche a pregare per le persone che sono moleste e ci trattano male. Questa è la via per vivere da vero cristiano, altrimenti si è cristiani di nome, perché battezzati, ma di fatto si vive come pagani – ha detto il Papa, precisando che questi insegnamenti di Gesù «non sono figure poetiche», ma sono «indicazioni concrete». Per esempio, «è tanto facile riunirci per sparlare dei nemici o di coloro che sono di un partito diverso o anche di coloro che non sono nella nostra simpatia». Invece, ha ribadito Francesco,  la logica cristiana è contraria a questo modo di fare. Al male non si risponde con il male, ma con il bene. È una pazzia? Ma questa è «la follia della Croce». E se un cristiano non si appassiona a questa «follia» non ha capito proprio nulla dell’essere discepolo del Signore. Il Vescovo di Roma ha ricordato che la chiave - oggi si potrebbe dire la password - per aprire il cuore è la «misericordia». Avere misericordia verso gli altri, così come Dio ha misericordia verso ciascuno di noi: «soltanto i misericordiosi assomigliano a Dio Padre» perché questo «è lo stile del Padre». Purtroppo, nel nostro cammino di vita cristiana dobbiamo fare i conti con il «grande accusatore», Satana, che ci accusa davanti a Dio per distruggerci. «E quando io entro in questa logica di accusare, maledire, cercare di fare del male all’altro, entro nella logica del grande accusatore che è distruttore» - ha concluso il Pontefice.

domenica 9 settembre 2018

LA FORZA DEL VANGELO CONTRO TUTTE LE MAFIE


LE NOSTRE RESPONSABILITA’ VERSO I MIGRANTI
«NEI LORO VOLTI  C’É L’IMMAGINE DI DIO»

Lorefice ricevuto in udienza da Francesco: «Ho trovato il Papa pronto a visitare la Sicilia e Palermo»



 di Antonino Legname

«I predoni dell’Africa siamo noi» - ha ribadito con forza Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo di Palermo, nell’intervista a Radio Vaticana Italia, per focalizzare ancora una volta l’attenzione della Chiesa siciliana sul tema dei migranti. «Se facciamo un po’ di esame di coscienza vediamo che tutt’ora l’occidente schiavizza questi popoli e quindi dobbiamo assumerci le nostre responsabilità» - ha detto il Pastore di Palermo. Diventano molto accorate le parole dell’Arcivescovo, quando tocca il cuore del problema dei migranti: «Nel volto di ogni uomo, al di là del suo colore – e stiamo attenti: siamo tutti di colore, anche il bianco è un colore – c’è l’immagine di Dio». Questo significa che ogni essere umano ha diritto di essere rispettato e accolto, specialmente quando il suo volto  «è sfigurato dalla sofferenza e dall’oppressione che, molte volte, siamo stati noi occidentali a creare, a fomentare». Questa è la seconda volta che Papa Francesco viene in Sicilia, dopo la sua visita a Lampedusa, e il prossimo 15 settembre toccherà due città simbolo: Piazza Armerina, per sottolineare l’attenzione del Pontefice per le periferie geografiche e Palermo, per rinnovare l’impegno della Chiesa contro tutte le mafie. 
Lorefice ha ricordato che Palermo è una città che è stata bagnata da «tanto sangue di uomini giusti e santi» e la visita di Francesco sarà un’occasione importante per ricordare l’uccisione, venticinque anni fa, di don Pino Puglisi. «Il Papa viene a confermare che oggi è il tempo opportuno perché si annunzi un Vangelo che s’incarna anche nella città degli uomini come giustizia e soprattutto come energia di un amore che è disposto a dare anche la vita” – ha spiegato Mons. Lorefice, il quale venerdì scorso, 7 settembre, è stato ricevuto in udienza dal Papa. E a proposito di questo incontro privato con Francesco, il presule riferisce: “Ho trovato il Papa pronto a visitare la Sicilia e Palermo” e aggiunge: “Lui è sempre pronto: può avere delle prove, ma è sempre pronto. L’ho trovato con il suo cuore e la sua grinta e soprattutto con un grande desiderio di venire a Palermo». Papa Francesco continua con coraggio apostolico i suoi viaggi, anche nella nostra Italia: «dalle Alpi alle piramidi, da Mazzolari a Puglisi» - ha esemplificato Mons. Lorefice. Si tratta di un tragitto che tocca «luoghi di uomini, preti, sacerdoti, che hanno annunciato un Vangelo che – come sempre – non può essere immediatamente compreso, ma che è capace di diventare realmente compagnia degli uomini, soprattutto negli snodi storici più importanti”. In maniera sintetica, l’Arcivescovo delinea l’itinerario della visita di Francesco a Palermo: la celebrazione dell’Eucaristia al Foro italico e l’incontro con il clero nella Cattedrale, «danno un chiaro tenore pastorale alla visita»; l'atteso incontro con i giovani alle ore 17:00 in Piazza Politeama.
E non poteva mancare la dimensione caritativa della visita con l’incontro del Papa con la benemerita missione “Speranza e Carità” di fratel Biagio Conte, dove Francesco sarà ospite a pranzo. Particolare significato avrà la visita di Francesco a Brancaccio, che è il quartiere dove don Pino Puglisi è nato ed è morto. La storia della Chiesa si intreccia con la storia degli uomini, «perché la comunità cristiana – ha detto Lorefice - non può non essere dentro le maglie della storia, lì dove c’è povertà e lì soprattutto dove c’è la concentrazione dei poteri». La Chiesa continua a mostrare la forza del potere della croce di Cristo, che è capace di sfidare e anche di «mettere paura agli uomini mafiosi” – ha detto con convinzione profetica Mons. Lorefice. «Il Papa viene a portare la bellezza del Vangelo che trasfigura la vita degli uomini», con i valori alti, non solo evangelici, ma, anche umani”. Infine, l’Arcivescovo – con sentimenti di riconoscenza e gratitudine - ricorda che la città di Palermo ha avuto tanti testimoni che hanno donato il loro sangue; «e il sangue dei martiri fruttifica sempre, seppur nel silenzio, come ci ricorda il Vangelo. Ed è questa anche la bellezza di Palermo: tanti uomini anche dal mondo civile, non solo ecclesiale, da questo sangue sono stati rafforzati». Questo è il grido di speranza che Papa Francesco viene a lanciare, affinché oggi, non solo Palermo, ma tutta la Sicilia, abbia la forza e il coraggio «di esporsi perché la cultura dei valori umani e la cultura evangelica possa continuare ad essere un fronte contro la mentalità malavitosa e mafiosa».




sabato 8 settembre 2018

ASPETTANDO FRANCESCO, L’ARCIVESCOVO DI PALERMO SPIEGA IL SENSO DELLA VISITA DEL PAPA IN SICILIA


MONS. LOREFICE RICEVUTO DAL SANTO PADRE


Lorefice: «Il Papa viene per entrare nello spirito e nella ‘carne’ della nostra terra e del nostro popolo, per aiutarci ad essere Chiesa-casa tra le case, Chiesa “in uscita” dalle proprie mura»



di Antonino Legname


«Oggi il mondo ha bisogno di cristiani audaci nella testimonianza … come don Pino Puglisi». Parlando dell’imminente viaggio pastorale di Papa Francesco a Palermo, il 15 settembre 2018, Mons. Lorefice ha detto che il Pontefice: «ci vuole coinvolgere in questa sua visione così aperta, così conciliare di una Chiesa che sa stare dentro il mondo con l’audacia della gioia del Vangelo”. Ormai manca una settimana all’incontro del Pontefice con la realtà siciliana e Mons. Lorefice, ieri, 7 settembre 2018, è stato ricevuto in udienza da Francesco. A VaticanNews l’Arcivescovo ha spiegato che «a 25 anni dalla morte di don Puglisi la visita del Papa dà forza a tutta la Chiesa siciliana». Sono parole cariche di speranza per il nostro popolo e “Papa Francesco – ha detto Lorefice - dà sempre una prospettiva di speranza, dà forza” e il suo viaggio a Piazza Armerina e a Palermo infonde entusiasmo in tutti i fedeli siciliani. Lorefice è ben consapevole che Papa Francesco con la sua presenza in Sicilia, “ci viene ad incoraggiare perché anche la Chiesa siciliana sia una chiesa capace di osare nella gioia un annunzio missionario del Vangelo, perché l’amore di Dio raggiunga tutti». E a chi lo avesse dimenticato, il Papa viene a ricordarci «che siamo tutti fratelli» e viene a indicarci «la via della solidarietà, della giustizia e della condivisione».  Mons. Lorefice ribadisce con forza che «oggi il mondo ha bisogno di cristiani audaci nella testimonianza”. E don Pino Puglisi, del quale il prossimo 15 settembre, ricorre il 25° del suo martirio, è l’esempio più chiaro dell’audacia evangelica. Infatti, P. Puglisi fu ucciso 25 anni fa davanti casa sua dalla mafia, proprio perché era impegnato in prima linea con i più poveri e con i giovani del quartiere Brancaccio di Palermo. Come disse il Cardinale Salvatore Pappalardo, don Pino Puglisi fu ucciso perchè "sacerdote del Signore, missionario del Vangelo, formatore delle coscienze e promotore della giustizia sociale". L’arcivescovo Lorefice ringrazia a nome di tutta la Chiesa siciliana il Santo Padre Francesco «per aver scelto proprio questa data, e soprattutto per il suo venire come pellegrino sulla tomba di un martire”. Il Pastore della Chiesa di Palermo conclude ribadendo che «Francesco vuole una Chiesa capace di testimoniare, con quel sorriso tipico di don Pino Puglisi, una Chiesa che è capace addirittura di annunciare il Vangelo senza timore di effondere il sangue”.
Il 6 agosto scorso, in un messaggio alla Città e alla Diocesi di Palermo, Mons. Lorefice ha messo in guardia dal pericolo di vivere la visita del Papa come un «grande spettacolo». Francesco viene a confermare nella fede il popolo siciliano, per questo occorre prepararsi a ricevere il Vicario di Cristo  – ha detto l'Arcivescovo – «impegnando la nostra esistenza ad una continua conversione e a una condivisione appassionata, entusiasta e creativa della Parola in cui tutti possono trovare ristoro ed energia di vita». Viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti; «la città secolarizzata è sotto i nostri occhi – ha evidenziato il Presule - La gente della nostra terra si muove ancora all’interno di un orizzonte religioso, che affiora soprattutto durante le processioni patronali, ma si fa ormai fatica a riconoscere collettivamente quei segni della fede che durante la cosiddetta ‘cristianità’ tutti sapevamo discernere quasi insensibilmente». Ma è necessario imparare a valorizzare tutti gli elementi positivi che ci sono nella religiosità del popolo. Bisogna imparare a parlare il linguaggio del popolo. Di questo è convinto Papa Francesco, il quale ha detto che «per comprendere un popolo bisogna entrare nello spirito, nel cuore, nel lavoro, nella storia e nel mito della sua tradizione». Di questo è convinto l’Arcivescovo di Palermo che invita tutti a guardare la «nuda e concreta storia della nostra gente» per riconoscere «i segni, forse anche inconsapevoli, di una fede audace, di una carità feriale, di una speranza incrollabile». È vero che la pietà popolare, anche se a volte si manifesta con segni  equivoci e discutibili di strumentalizzazioni – «mostra la fede del popolo». Si tratta di una spiritualità semplice «che non ha l’ambizione di spiegare e di definire nulla – ha scritto Lorefice - ma esprime un desiderio di vita in cui vibra il grido stesso della fede». L’arcivescovo di Palermo conclude il suo messaggio ricordando che «il Papa viene per entrare nello spirito e nella ‘carne’ della nostra terra e del nostro popolo, per aiutarci ad essere Chiesa-casa tra le case, evangelizzatori prossimi e gioiosi, comunità cristiane capaci di riflettere la luce di Cristo che, come la luna, brilla di luce riflessa nella Chiesa (Lumen gentium, 1). Il Santo Padre viene a chiederci di essere una Chiesa “in uscita” dalle proprie mura, una Chiesa che non annuncia una verità dall’alto delle proprie sicurezze, ma semplicemente il Vangelo di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio fattosi carne, nell’umile consapevolezza di poter essere credibile solo camminando sulla strada di tutti.



COME MARIA LASCIAMO CHE DIO CAMMINI CON NOI


CON MARIA VERSO GESU'

Statua della Madonna, venerata nel Santuario di S. Maria di Ognina a Catania, eseguita a Parigi da un monaco cistercense nel 1889


Omelia di Mons. Antonino Legname, in occasione della Festa della Madonna di Ognina a Catania - 8 settembre 2018

È motivo per me di grande gioia spirituale celebrare la festa della Natività di Maria Santissima, con voi tutti, devoti convenuti in questo Santuario di Santa Maria di Ognina. Oggi vogliamo ricordare la nascita di Maria nel mondo come l’arrivo dell’aurora che precede la luce della salvezza che è Cristo Gesù. Maria è il più bel fiore che è sbocciato in mezzo al fango del peccato nel giardino corrotto dell’umanità. Ella è il fiore più puro, più innocente, più degno che Dio ha fatto nascere, perché fosse una degna dimora per il suo Figlio Gesù. Nel piano della salvezza, Maria è la nuova Eva. Come diceva S. Ireneo: « Il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione con l’obbedienza di Maria; ciò che Eva aveva legato con la sua incredulità, Maria l’ha sciolto con la sua fede». E in forza di questa fede e obbedienza, «Ella generò sulla terra lo stesso Figlio del Padre, senza conoscere uomo, ma sotto l’ombra dello Spirito Santo» (Cost. dog. Lumen gentium, 63). Questo è un punto su cui i Padri della Chiesa hanno molto insistito: «Maria ha concepito Gesù nella fede e poi nella carne, quando ha detto "sì" all’annuncio che Dio le ha rivolto mediante l’Angelo». Per questo Maria è, dopo Gesù, il capolavoro della creazione; con la sua immacolata nascita, Maria restituisce agli uomini l’immagine della perfezione di Dio: «per essere santi e immacolati al suo cospetto». Maria è la lampada che ha portato all’umanità, avvolta nelle tenebre, la luce divina, Gesù. La nascita immacolata di Maria costituisce, in un certo senso, lo spartiacque della storia della salvezza, come ha detto un Padre della Chiesa del VII secolo, Andrea di Creta, parlando della festa odierna: «L’ombra della notte si ritira all’appressarsi della luce del giorno… La presente festa è come una pietra di confine fra il Nuovo e l’Antico Testamento». Il Vangelo di oggi (Mt 1,1-16.18-23) ci narra la genealogia di Gesù. È la sintesi di una storia viva, che è stata condotta da Dio verso la nascita di Maria e di Gesù. In “questo elenco – ha detto Papa Francesco – ci sono dei santi e anche dei peccatori, ma la storia va avanti perché Dio ha voluto che gli uomini fossero liberi”. È vero che l’uomo ha usato male della sua libertà ed è stato cacciato via dal Paradiso; ma Dio non abbandona gli uomini, e promette di camminare con loro. Il Dio della storia si fa storia; quando arriva la pienezza dei tempi si incarna nel suo Figlio per poter essere ancora più vicino all’umanità, fatta di uomini giusti e peccatori. Come abbiamo ascoltato nel Vangelo, questa lunga e grande storia dell’umanità trova il suo culmine in una piccola storia, quella di Maria: umile ancella del Signore. Quanta pazienza ha avuto Dio «con tutte queste generazioni; con queste persone – ha detto Papa Francesco – che hanno vissuto la loro storia di grazia e peccato». Dio ha pazienza con gli uomini, perché a tutti i costi vuole che ognuno di noi arrivi ad essere conforme all’immagine del suo Figlio Gesù. San Paolo nella lettera ai Romani scrive: "Quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo" (8,29). Questo si realizza anzitutto in Maria, predestinata ad essere conforme all'immagine del Figlio di Dio e figlio suo. La nascita di Maria è il segno che Dio ha preparato per noi la salvezza: per questo ha preparato il corpo e l'anima della madre di Gesù, che è anche madre nostra. Dio entra nella storia e «la nascita di Maria è l’anticamera di questa storia dell’umanità». Come dice Papa Francesco: «Come Maria, lasciamo che Dio cammini con noi». Cosa vogliamo offrire a Maria nel giorno del suo compleanno: un mazzo di fiori viventi, cioè i nostri cuori palpitanti d’amore per Lei, Madre di Gesù e Madre nostra. Sono fiori diversi e variopinti, così come sono diversificate le nostre singole storie. In questo particolare giorno di festa per la nascita di Maria di Nazareth, noi vogliamo ringraziare Dio per averci donato questa Mamma celeste; e vogliamo gioire con Maria per averci donato Gesù nostro salvatore; alla Sua materna protezione e intercessione vogliamo affidare noi e le nostre famiglie


 PREGHIERA ALLA MADONNA DI OGNINA


O Vergine Santa
Regina e Signora di Ognina
volgi a noi il tuo dolcissimo volto di Madre
e ascolta la nostra preghiera:
aiuta chi soffre, consola chi piange,
assisti chi è solo nell'ora della prova.
Proteggi i tuoi figli da ogni pericolo:
di terra, di cielo e di mare.
Dona luce a chi è privo di fede,
dona gioia a chi è senza conforto,
dona vita a chi è senza speranza,
dona forza e coraggio a chi lotta
per la giustizia, il progresso e la pace.
Insegnaci ad essere Chiesa in servizio
del mondo per annunciare il Vangelo
e testimoniare l'Amore,
in solidarietà con chi è povero,
ammalato, disoccupato, bisognoso di aiuto.
O soave Madonna di Ognina
sii sempre con noi sui sentieri del tempo,
tra le case, le piazze, le strade, in famiglia,
nel cuore, nella mente, nella vita
di ogni uomo nostro fratello.
Sii sempre con noi o Maria: Madre, sorella,
amica e compagna di cammino. Amen.

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