di
Antonino Legname
Nella Catechesi del 22 agosto 2018, Papa Francesco ha
invitato a riflettere sul secondo comandamento «Non pronuncerai invano il
nome del Signore, tuo Dio» (Es 20,7). Il Pontefice spiega che «la versione “Non
pronuncerai” traduce un’espressione che significa letteralmente, in ebraico
come in greco, “non prenderai su di te, non ti farai carico”. Il
significato più immediato di questo comandamento è «l’invito a non offendere il
nome di Dio ed evitare di usarlo inopportunamente», cioè «invano». A tal
proposito, per inciso, un aneddoto personale: una volta, durante il catechismo,
domandai ad un bambino di terza elementare, se ricordava il secondo
comandamento; subito, contento di avere la risposta pronta, mi disse: «Non
nominare il nome di Dio Ivano». Avevo capito bene? “Ivano”! Perché Ivano, gli
chiesi. E Lui: «anche mio cugino si chiama Ivano come Dio». Compresi che la
parola «invano» non faceva parte del vocabolario dei bambini e che certe
parole, specialmente quando si riferiscono a Dio, non sono facili da capire pienamente,
neppure per gli adulti. Papa Francesco spiega che l’espressione «invano»
vuol dire: «a vuoto, vanamente». Fa riferimento a un involucro vuoto, a
una forma priva di contenuto. È la caratteristica dell’ipocrisia, del
formalismo e della menzogna, dell’usare le parole o usare il nome di Dio, ma
vuoto, senza verità». Che cosa rappresenta il «nome» nel linguaggio biblico?
«Il nome nella Bibbia è la verità intima delle cose e soprattutto delle
persone. Il nome rappresenta spesso la missione». Francesco ricorda, per
esempio, che Abramo e anche Simon Pietro hanno ricevuto un nuovo nome, per
indicare che ricevevano una nuova missione. E allora «farsi carico del nome di
Dio», significa «entrare in una relazione forte, in una relazione stretta con
Lui». Noi cristiani siamo entrati in comunione stretta e reale con Dio quando
abbiamo ricevuto il battesimo «nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo». E tutte le volte che facciamo bene il segno di croce entriamo in
contatto con la Trinità. A tal proposito, il Papa insiste ancora una volta
nell’esortare i genitori e gli educatori cristiani: «insegnate ai bambini a
fare il segno della croce». Anche perché per un bambino il segno di croce è «il
primo atto di fede». Il Pontefice mette in guardia dal reale pericolo del
nominalismo, cioè delle parole vuote e disincarnate; questo succede, per
esempio, quando si parla di Dio, ma non si fa la volontà di Dio. Pertanto, il
secondo comandamento del Decalogo «è proprio l’invito a un rapporto con Dio che
non sia falso, senza ipocrisie». Il cuore umano ha sete di stabilire relazioni
autentiche e vere con gli altri e con Dio. Solo così si diventa credibili.
Francesco in diverse occasioni ha parlato della «santità quotidiana», di quei “santi
della porta accanto” «che sono, ad esempio, i tanti genitori che danno ai figli
l’esempio di una vita coerente, semplice, onesta e generosa». Il Vescovo di
Roma auspica che siano tanti «i cristiani che prendono su di sé il nome di Dio
senza falsità – praticando così la prima domanda del Padre Nostro, «sia
santificato il tuo nome». Solo così - conclude il Papa - l’annuncio della
Chiesa viene più ascoltato e risulta più credibile». Pertanto, a tutti coloro
che, in qualunque situazione si trovino, invocheranno sinceramente «il santo
nome del Signore, che è Amore fedele e misericordioso», «Dio non dirà mai di
“no”».