IL VOLTO DI UNA
CHIESA POVERA SENZA FLASH E SENZA
POTERE
Lorefice: «Il servizio
ai poveri può diventare, in molte forme, una esibizione o addirittura un vanto»
di Antonino Legname
Leggendo il libro di Mons. Corrado Lorefice, Il volto di una Chiesa povera. L’ecclesiologia conciliare di “Evangelii Gaudium” (San Paolo Edizioni, 2018, pp. 126) , nasce spontanea la domanda: «basta il servizio ai poveri perché ci sia una Chiesa povera?». Oggi viviamo in una società profondamente influenzata dai mass media, nella quale – come scrive Lorefice - «l’informazione viene costruita e l’immagine assume un rilievo superiore a quello di ogni sostanza reale». Pertanto, è sempre in agguato il rischio che anche il servizio ai poveri possa «diventare, in molte sue forme, una esibizione o addirittura un vanto» (p. 56). Non possiamo negare che a volte si puntano i riflettori mediatici sulla grandezza dell’opera, sulle grandi strutture ecclesiali a servizio della povertà, invece che sulla «effettività della testimonianza». Bisogna stare molto attenti – ha messo in guardia Lorefice – perché è reale il pericolo che tante opere – anche benemerite e meritorie – promosse dalla Chiesa «possono facilmente debordare dal lato della glorificazione mediatica del prete o del laico che le ha promosse» (ibid). Mons. Lorefice, senza voler demonizzare gli strumenti e gli spazi della comunicazione sociale, preferisce una Chiesa che non sia troppo preoccupata di ostentare in pubblico le sue opere caritative, e che sia a servizio degli uomini «nell’oscurità, nella quotidianità, nella testimonianza diuturna e invisibile».
Don Corrado
ricorda i volti semplici di uomini e donne, che lui stesso ha conosciuto quando
era parroco e anche da Vescovo: «tante sorelle e tanti fratelli che hanno fatto
della fedeltà al proprio compito quotidiano per l’altro – lungo gli anni e
lungo i decenni – il motivo di una fedeltà gioiosa alla chiamata della vita»
(pp. 57-58). È questa la santità quotidiana delle persone semplici, di cui
tante volte ha parlato Papa Francesco. In quei volti, anonimi per l’opinione
pubblica, Lorefice vede «il modello di una diakonia
della Chiesa all’altezza della chiamata alla povertà» (p. 59). Il tono del ragionamento
di Mons. Lorefice si fa più severo quando parla di quella Chiesa che vuole
andare a braccetto con i potenti di questo mondo: «una Chiesa povera è in
verità una Chiesa senza potere». E spiega: «È il tarlo del potere il vero
veleno che penetra le fonti della vita della Chiesa e le impedisce di essere
davvero povera, dei poveri e per i poveri» (p. 69). Questa non è utopia, ma è
il Vangelo, che ci insegna che la forza della Chiesa non scaturisce dalla
sicurezza delle sue strutture, dai suoi palazzi, dai rapporti di potere e dai
legami con i potenti (cfr. ibid). La
Chiesa non è un’istituzione mondana «che punti ad avere mezzi e risorse che le
consentano una costante influenza nelle vicende del mondo» (p. 70). Non è
utopia la Chiesa delle Beatitudini – ha rimarcato Lorefice – cioè quella Chiesa
che vive nel mondo per annunciare il Vangelo della gioia «tra povertà e
persecuzioni» (ibid). Nella misura in
cui la Chiesa diventa povera di mezzi umani, ma ricca di Vangelo, saprà farsi
compagna di strada con quanti piccoli e poveri vivono ai margini della società.
E un’attenzione particolare l’Arcivescovo di Palermo la riserva alle sorelle e
ai fratelli migranti. Non si tratta di una pura questione umanitaria – ha precisato
Lorefice – ma dell’identificazione della Chiesa di Cristo con i poveri. E in
questo momento, i migranti che sono costretti dalla guerra o dalla fame a lasciare
i loro Paesi «rappresentano l’icona della povertà e dell’ingiustizia creata dai
poteri di questo mondo».
Pertanto, alto si deve levare il grido della Chiesa
contro l’oppressione e l’ingiustizia che deturpano il volto dell’uomo; e nello
stesso tempo, forte si deve «alzare la voce verso Dio perché non lasci ancora
che i suoi figli versino sangue innocente» (p. 73), e perché alla fine il bene
e la giustizia trionfino.