Ubi Petrus, ibi Ecclesia: "Dove c'è Pietro, lì c'è la Chiesa" (Sant'Ambrogio, Explanatio Psalmi XL, 30, 5)

martedì 7 novembre 2017

LA DIMENSIONE PASTORALE DI AMORIS LAETITIA - 3

LE MALATTIE DELLA FAMIGLIA - 3
Papa Francesco: «Per poter comprendere, scusare e servire gli altri di cuore, è indispensabile guarire l’orgoglio e coltivare l’umiltà»  




di Antonino Legname

6. La sesta malattia è l’«alzheimer» spirituale.
Chi soffre di «alzheimer» ha gravi problemi di memoria, di pensiero e di comportamento. Quando marito e moglie perdono gradualmente la memoria della loro storia sentimentale che li ha portati al matrimonio e a costruire una famiglia, significa che sono stati colpiti a livello affettivo, spirituale e morale dal «morbo di Alzheimer». Bisogna ripensare spesso alle motivazioni che hanno portato due persone a scegliersi; sarebbe bello poter dire: «Io non ti ho scelto e non ti amo perché sei unico/a ma sei unico/a perché ti ho scelto e ti amo». Confusione, irritabilità e aggressività, sbalzi di umore, difficoltà nel linguaggio [cioè mancanza di dialogo] perdita della memoria del «primo amore», sono questi i sintomi che annunciano l’avanzamento progressivo dell’ “Alzheimer familiare”. E allora si vive completamente immersi nel presente, nelle passioni, nei capricci e nelle manie. Si costruiscono muri dentro e fuori l’ambiente familiare, ci si isola dalla realtà e si diventa schiavi delle proprie cattive abitudini. Anche le porte dell’intimità vengono sbarrare. 

 
Se vuoi evitare di ammalarti di «alzheimer spirituale» - consiglia Papa Francesco - “non dimenticare mai il primo amore, mai!”[i]. Non dimenticare quegli occhi belli che ti hanno incantato; e non rispondere: «Padre, allora ero cieco, avevo il prosciutto sugli occhi!». Non ti scordare quella voce che ti ha fatto palpitare il cuore: «ma, padre, all’epoca soffrivo di otite ed ero mezzo sordo» - potresti obiettare. E ricordati di quelle labbra dalle quali, come da una fonte, hai attinto la dolcezza del primo amore. In famiglia non bisogna perdere la capacità di contemplarsi a vicenda. Una volta si diceva che amare significa «guardare insieme nella stessa direzione»; oggi, invece, sarebbe meglio dire che amare è «guardarsi l'un l'altro negli occhi». In famiglia si corre sempre e c'è sempre meno tempo per fermarsi e per guardarsi negli occhi. In Amoris laetitia, Francesco ha scritto: “Molte ferite e crisi hanno la loro origine nel momento in cui smettiamo di contemplarci. Questo è ciò che esprimono alcune lamentele e proteste che si sentono nelle famiglie. «Mio marito non mi guarda, sembra che per lui io sia invisibile». «Per favore, guardami quando ti parlo». «Mia moglie non mi guarda più, ora ha occhi solo per i figli». «A casa mia non interesso a nessuno e neppure mi vedono, come se non esistessi». L’amore apre gli occhi e permette di vedere, al di là di tutto, quanto vale un essere umano” (AL 128). Anche i figli lamentano che i genitori hanno poco tempo per giocare con loro; e quelle volte in cui ci si trova insieme, si preferisce guardare la tv. Un bambino pregava: «Signore, ti prego fammi diventare un televisore così i miei genitori mi possono guardare più spesso».
 

7. La malattia della rivalità e della vanagloria.
Possibile che tra i componenti di una famiglia ci possano essere delle rivalità? Se nella famiglia manca l’umiltà si diventa arroganti e prepotenti.  La rivalità familiare è una malattia che porta ad essere uomini e donne falsi, ipocriti; e invece di gareggiare nella stima vicendevole, come insegna San Paolo, i membri della famiglia fanno a gara nel litigare e nell’insultarsi a vicenda. Per raggiungere l’armonia familiare non bisogna dimenticare l’insegnamento di San Paolo: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,1-4).  “Questo è impossibile per chi deve sempre paragonarsi e competere, anche con il proprio coniuge, fino al punto di rallegrarsi segretamente per i suoi fallimenti” (AL 109). C’è una vecchia canzone italiana che dice: “l’amore non è bello se non è litigarello”. Ma quando è troppo, è troppo! Il Vescovo di Roma riconosce che “litigare è normale, anche perché quando non c’è amore non si litiga, si rompe”[ii]. In più occasione il Vescovo di Roma ha detto che nella famiglia a volte si litiga e possono volare anche i piatti, ma - consiglia Francesco - mai finire la giornata senza aver fatto prima la pace. E per fare la pace non c'è bisogno di chiamare le Nazioni Unite. Un bacio, una carezza, un gesto di umiltà e tutto viene sanato; tranne i piatti rotti. 


Non c'è dubbio che per vivere bene in famiglia ci vuole una buone dose di umiltà. “L’atteggiamento dell’umiltà appare qui come qualcosa che è parte dell’amore, perché per poter comprendere, scusare e servire gli altri di cuore, è indispensabile guarire l’orgoglio e coltivare l’umiltà” (AL 98). “L’ansia di mostrarsi superiori per impressionare gli altri con un atteggiamento pedante e piuttosto aggressivo. Chi ama, non solo evita di parlare troppo di sé stesso, ma inoltre, poiché è centrato negli altri, sa mettersi al suo posto, senza pretendere di stare al centro” (AL 97). E soprattutto occorre “superare la fragilità che ci porta ad avere timore dell’altro come se fosse un «concorrente»” (AL 140). Il matrimonio e la vita familiare sono un “progetto da edificare insieme, con pazienza, comprensione, tolleranza e generosità” (AL 218). Bisogna fare di tutto per evitare il rischio che “l’amore venga sostituito a poco a poco da uno sguardo inquisitore e implacabile, dal controllo dei meriti e dei diritti di ciascuno, dalle proteste, dalla competizione e dall’autodifesa” (AL 218). Mi viene in mente il dialogo di due amici che si incontrano dopo tantissimi anni: «Sono sposato da 25 anni – disse il primo – e sono stato sempre felice; mia moglie ed io andiamo molto d’accordo». «Sono contento per te – disse l’altro – io non posso dire la stessa cosa del  rapporto con mia moglie. Ma, dimmi, quale formula hai usato per il successo del tuo matrimonio?». L’amico gli confida il segreto: «vedi, fin dall’inizio della mia vita matrimoniale ho fatto un patto con mia moglie!». «Quale patto?» – gli domanda incuriosito l’amico sfortunato. «Ascolta: mia moglie ed io abbiamo deciso che la prima mezza giornata comanda lei, l’altra mezza giornata obbedisco io!».  «E così i due vissero felici e contenti!» - si potrebbe concludere! Ma questa è solo una battuta e non la soluzione per vivere un matrimonio felice. Nella Lettera agli Efesini (5,21), San Paolo scrive: “Siate sottomessi gli uni agli altri”; si tratta di una sottomissione reciproca di servizio per il bene della famiglia. Tra i coniugi questa reciproca «sottomissione» acquisisce un significato speciale e si intende come un’appartenenza reciproca liberamente scelta, con un insieme di caratteristiche di fedeltà, rispetto e cura” (AL 156). La legge della famiglia è quella dell’amore coniugale che è comunione e partecipazione, non dominio e sopraffazione. Papa Francesco cita san Giovanni Paolo II, il quale  scriveva: «L’amore esclude ogni genere di sottomissione, per cui la moglie diverrebbe serva o schiava del marito [...]. La comunità o unità che essi debbono costituire a motivo del matrimonio, si realizza attraverso una reciproca donazione, che è anche una sottomissione vicendevole»[iii] (cfr. AL 156). Nessuno dei coniugi dovrebbe mai dire: «E qui comando io, e questa è casa mia», come recita una canzone italiana. «Prima di sposarmi – confidò un tizio all’amico – io facevo legge e mia moglie economia; ora da sposati, mia moglie fa legge e io economia».  Nella vita familiare la parola d’ordine dovrebbe essere «collaborazione» nell’interesse della famiglia.

Purtroppo, a volte ci sono situazioni di predominio all’interno delle famiglie. Se entriamo in certe case, quanta sopraffazione vi regna - ha detto Francesco: “genitori che schiavizzano i figli, figli che schiavizzano i genitori; coniugi che, dimentichi della loro chiamata al dono, si sfruttano come se fossero un prodotto a perdere, che si usa e si getta via; anziani senza un posto, bambini e adolescenti senza voce”[iv] . Nell’ambito familiare a volte si riesce a camuffare bene il potere e l’oppressione dell’uno sull’altro. Quante situazione di dominio sopportato da uno dei due coniugi con paziente e sofferta rassegnazione per non far capire niente alla gente o per amore dei figli. Poi il tiranno muore e la vedova comincia a vivere con allegria la sua vedovanza come una liberazione dopo una lunga e sofferta schiavitù. Purtroppo, sopravvive ancora una certa mentalità maschilista difficile a morire. Non sono lontani i tempi in cui si diceva che «per domare la donna ci vuole la frusta». Papa Francesco lamenta che, purtroppo, ancora oggi la donna è insidiata “da mille forme di prevaricazione e di assoggettamento, di seduzione ingannevole e di prepotenza umiliante, fino a quelle più drammatiche e violente. La storia ne porta le tracce. Pensiamo, ad esempio, agli eccessi negativi delle culture patriarcali. Pensiamo alle molteplici forme di maschilismo dove la donna era considerata di seconda classe. Pensiamo alla strumentalizzazione e mercificazione del corpo femminile nell’attuale cultura mediatica”[v]. L’amore è rispettoso della soggettività altrui, non si impone, ma si propone senza essere invadente e possessivo. Quando due coniugi si amano veramente diventano sempre più uno, senza smettere di essere due. “L’unità alla quale occorre aspirare non è uniformità, ma una «unità nella diversità» o una «diversità riconciliata». In questo stile arricchente di comunione fraterna, i diversi si incontrano, si rispettano e si apprezzano, mantenendo tuttavia differenti sfumature e accenti che arricchiscono il bene comune. C’è bisogno di liberarsi dall’obbligo di essere uguali” (AL 139). Quando l'amore è maturo riesce a «negoziare», non per gioco o per interesse, ma per trovare il giusto equilibrio nella famiglia. Si tratta di un esercizio positivo  perché mira a realizzare, attraverso l'arte della negoziazione fatta di offerte e rinunce, il bene di tutta la famiglia. “In ogni nuova tappa della vita matrimoniale, occorre sedersi e negoziare nuovamente gli accordi, in modo che non ci siano vincitori e vinti, ma che vincano entrambi. In casa le decisioni non si prendono unilateralmente, e i due condividono la responsabilità per la famiglia” (AL 220).


[i] Papa Francesco, Omelia della Messa nella Cappella della Casa di Santa Marta in Vaticano, 
6 giugno 2014.
[ii] Ibid.
[iii]Giovanni Paolo II, Catechesi (11 agosto 1982), 4: Insegnamenti V, 3 (1982), 205-206.
[iv]Papa Francesco, Messaggio per la Campagna di Fraternità 2014 della Chiesa in Brasile, 25 febbraio 2014.
[v]Papa Francesco, Udienza Generale in Piazza San Pietro, 22 aprile 2015.

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