Seconda Parte
«DOBBIAMO IMPARARE
DALLA FEDE DELLA NOSTRA GENTE!»
Francesco: «Nella misura in cui noi ci coinvolgeremo
nella vita del nostro Popolo fedele e avvertiamo la profondità delle sue
ferite, potremo guardare “senza filtri clericali” il volto di Cristo»
di Antonino Legname
La
riflessione di Papa Francesco, nella Lettera ai partecipanti alla XXXVI Assemblea Generale
del Consiglio Episcopale Latinoamericano, si fa ancora più concreta
quando invita i pastori della Chiesa ad imparare a guardare il Popolo di Dio,
ad ascoltarlo e a conoscerlo, a dargli importanza e spazio. «Non in maniera
concettuale, organizzativa, nominale o funzionale - precisa Francesco - Sebbene oggigiorno c'è
una maggiore partecipazione dei fedeli laici, molte volte li abbiamo impegnati
solo dentro il contesto ecclesiale senza stimolarli a permeare, con la forza
del Vangelo, gli ambienti sociali, politici, economici, universitari». Cosa
significa ascoltare il Popolo di Dio? Francesco spiega: «significa “scalzarci” dai nostri pregiudizi
e dal razionalismo, dai nostri schemi funzionalisti per conoscere in che modo
lo Spirito agisce nel cuore di tanti uomini e donne che con grande vigore non
smettono di buttare le reti e lottano per rendere credibile il Vangelo»; significa
conoscere come lo Spirito continua a muovere la fede della nostra gente; questa
fede che magari non sa tanto di profitti e di successi pastorali, ma è carica
di speranza. «Quanto dobbiamo imparare dalla fede della nostra gente!» -
ammette Francesco. E spiega: «la fede di madri che non hanno paura di sporcarsi per portare aventi i loro figli.
Sanno che il mondo in cui vivono è pieno di ingiustizie, e che dovunque si vedono
e si esperimentano le carenze e le fragilità di una società che si frammenta
ogni giorno, dove l'impunità della corruzione continua a mietere vite e a
destabilizzare le città». E additando l'esempio di queste madri coraggiose, il
Papa si rivolge ai Pastori della Chiesa, invitandoli a non aver paura di
sporcarsi per la nostra gente: «non dobbiamo avere paura del fango della storia
per poter riscattare e rinnovare la speranza. Pesca soltanto colui che non ha
paura di rischiare di impegnarsi per i suoi». E questo - chiarisce Francesco «non
nasce dall'eroismo o dal carattere kamikaze
di alcuni, e neppure da una ispirazione individuale di qualcuno che si
vuole immolare. Tutta la comunità dei credenti deve andare a cercare il Suo
Signore, perché solo uscendo e lasciando le sicurezze (che tante volte sono
“mondane”) … solo lasciando di essere autoreferenziali siamo capaci di
ri-centrarci in Colui che è fonte di Vita e di Pienezza». Il Vescovo di Roma
ribadisce che per poter vivere con speranza è necessario che ci ri-centriamo in
Gesù Cristo, il quale abita nel centro della nostra cultura, e nello stesso
tempo ci dobbiamo centrare sul Popolo. Francesco spiega che Cristo e Popolo non
sono antagonisti: «contemplare Cristo nel suo popolo è imparare a decentrarci
da noi stessi per concentrarci nell'unico Pastore». In altre parole, significa
avere il coraggio di andare nelle periferie del presente e del futuro, certi
nella speranza che il Signore continua ad essere presente e la sua presenza
sarà fonte di Vita abbondante. Da qui scaturisce la creatività e la forza per
arrivare là dove si formano i nuovi paradigmi che stanno tracciando la vita dei
nostri Paesi e così poter raggiungere, con la Parola di Gesù, i nuclei più
profondi dell'anima delle città dove ogni giorno cresce sempre più l'esperienza
di non sentirsi cittadini, ma «cittadini a metà». Il Pontefice chiede di vivere
la realtà di oggi, sempre più complicata e sconcertante, come discepoli del
Maestro e non come osservatori asettici e neutrali. Deve esserci il desiderio e
l'impegno di impregnare le strutture della società con la Vita e con l'Amore
che abbiamo conosciuto. Ma questo - avverte il Papa - «non come colonizzatori e
dominatori, ma condividendo il buon odore di Cristo, che sia questo l'odore per
continuare a trasformare la vita». Il Vescovo di Roma coglie l'occasione per
ribadire quanto aveva già scritto nel n. 49 della Evangelii gaudium a proposito di una Chiesa in uscita, non
preoccupata di essere il centro per poi finire chiusa nelle proprie umane
sicurezze e in un «marasma di ossessioni e di procedimenti». Quello che deve
veramente preoccupare la coscienza dei Pastori della Chiesa e santamente
inquietarli è che «tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la
consolazione dell'amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li
sostiene e senza un orizzonte di significato e di vita» In conclusione, scrive
il Papa, «spero che più che il timore di sbagliare ci spinga il timore di chiuderci dentro le strutture che ci danno una falsa
sicurezza e nelle norme che ci rendono giudici implacabili, e nelle abitudini
che ci fanno sentire tranquilli, mentre fuori c'è una moltitudine affamata e
Gesù che ci ripete senza stancarsi: “Voi date loro da mangiare”». Questo aiuterà
a mostrare il volto misericordioso e materno della Chiesa che si trova tra «i
fiumi e il fango della storia»; solo così ogni persona può sentirsi a casa, può
sentirsi figlio amato, cercando e sperando. Questo sguardo, questo dialogo con
il Popolo fedele di Dio, offre al pastore due attitudini molto belle da
coltivare: il coraggio per annunciare il Vangelo e la forza per superare le
difficoltà e la sgradevolezza che provoca la stessa predicazione. Nella misura
in cui noi ci coinvolgeremo nella vita del nostro Popolo fedele e avvertiamo la
profondità delle sue ferite, potremo guardare “senza filtri clericali” il volto
di Cristo, andare al suo Vangelo per pregare, pensare, discernere e lasciarci
trasformare dal suo volto in pastori di speranza. Che Maria, Nuestra
Señora Aparecida, continui a portarci a suo Figlio affinché i nostri popoli in
Lui abbiano la vita … e in abbondanza.
[Mia traduzione dallo spagnolo]