Ubi Petrus, ibi Ecclesia: "Dove c'è Pietro, lì c'è la Chiesa" (Sant'Ambrogio, Explanatio Psalmi XL, 30, 5)

giovedì 11 maggio 2017

LETTERA DI PAPA FRANCESCO AL CELAM - SECONDA PARTE



Seconda Parte
«DOBBIAMO IMPARARE DALLA FEDE DELLA NOSTRA GENTE!»

Francesco: «Nella misura in cui noi ci coinvolgeremo nella vita del nostro Popolo fedele e avvertiamo la profondità delle sue ferite, potremo guardare “senza filtri clericali” il volto di Cristo»



di Antonino Legname
 
La riflessione di Papa Francesco, nella Lettera ai partecipanti alla XXXVI Assemblea Generale del Consiglio Episcopale Latinoamericano, si fa ancora più concreta quando invita i pastori della Chiesa ad imparare a guardare il Popolo di Dio, ad ascoltarlo e a conoscerlo, a dargli importanza e spazio. «Non in maniera concettuale, organizzativa, nominale o funzionale  - precisa Francesco - Sebbene oggigiorno c'è una maggiore partecipazione dei fedeli laici, molte volte li abbiamo impegnati solo dentro il contesto ecclesiale senza stimolarli a permeare, con la forza del Vangelo, gli ambienti sociali, politici, economici, universitari». Cosa significa ascoltare il Popolo di Dio? Francesco spiega:  «significa “scalzarci” dai nostri pregiudizi e dal razionalismo, dai nostri schemi funzionalisti per conoscere in che modo lo Spirito agisce nel cuore di tanti uomini e donne che con grande vigore non smettono di buttare le reti e lottano per rendere credibile il Vangelo»; significa conoscere come lo Spirito continua a muovere la fede della nostra gente; questa fede che magari non sa tanto di profitti e di successi pastorali, ma è carica di speranza. «Quanto dobbiamo imparare dalla fede della nostra gente!» - ammette Francesco. E spiega: «la fede di madri che non hanno paura  di sporcarsi per portare aventi i loro figli. Sanno che il mondo in cui vivono è pieno di ingiustizie, e che dovunque si vedono e si esperimentano le carenze e le fragilità di una società che si frammenta ogni giorno, dove l'impunità della corruzione continua a mietere vite e a destabilizzare le città». E additando l'esempio di queste madri coraggiose, il Papa si rivolge ai Pastori della Chiesa, invitandoli a non aver paura di sporcarsi per la nostra gente: «non dobbiamo avere paura del fango della storia per poter riscattare e rinnovare la speranza. Pesca soltanto colui che non ha paura di rischiare di impegnarsi per i suoi». E questo - chiarisce Francesco «non nasce dall'eroismo o dal carattere kamikaze di alcuni, e neppure da una ispirazione individuale di qualcuno che si vuole immolare. Tutta la comunità dei credenti deve andare a cercare il Suo Signore, perché solo uscendo e lasciando le sicurezze (che tante volte sono “mondane”) … solo lasciando di essere autoreferenziali siamo capaci di ri-centrarci in Colui che è fonte di Vita e di Pienezza». Il Vescovo di Roma ribadisce che per poter vivere con speranza è necessario che ci ri-centriamo in Gesù Cristo, il quale abita nel centro della nostra cultura, e nello stesso tempo ci dobbiamo centrare sul Popolo. Francesco spiega che Cristo e Popolo non sono antagonisti: «contemplare Cristo nel suo popolo è imparare a decentrarci da noi stessi per concentrarci nell'unico Pastore». In altre parole, significa avere il coraggio di andare nelle periferie del presente e del futuro, certi nella speranza che il Signore continua ad essere presente e la sua presenza sarà fonte di Vita abbondante. Da qui scaturisce la creatività e la forza per arrivare là dove si formano i nuovi paradigmi che stanno tracciando la vita dei nostri Paesi e così poter raggiungere, con la Parola di Gesù, i nuclei più profondi dell'anima delle città dove ogni giorno cresce sempre più l'esperienza di non sentirsi cittadini, ma «cittadini a metà». Il Pontefice chiede di vivere la realtà di oggi, sempre più complicata e sconcertante, come discepoli del Maestro e non come osservatori asettici e neutrali. Deve esserci il desiderio e l'impegno di impregnare le strutture della società con la Vita e con l'Amore che abbiamo conosciuto. Ma questo - avverte il Papa - «non come colonizzatori e dominatori, ma condividendo il buon odore di Cristo, che sia questo l'odore per continuare a trasformare la vita». Il Vescovo di Roma coglie l'occasione per ribadire quanto aveva già scritto nel n. 49 della Evangelii gaudium a proposito di una Chiesa in uscita, non preoccupata di essere il centro per poi finire chiusa nelle proprie umane sicurezze e in un «marasma di ossessioni e di procedimenti». Quello che deve veramente preoccupare la coscienza dei Pastori della Chiesa e santamente inquietarli è che «tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell'amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li sostiene e senza un orizzonte di significato e di vita» In conclusione, scrive il Papa, «spero che più che il timore di sbagliare ci spinga il timore di chiuderci  dentro le strutture che ci danno una falsa sicurezza e nelle norme che ci rendono giudici implacabili, e nelle abitudini che ci fanno sentire tranquilli, mentre fuori c'è una moltitudine affamata e Gesù che ci ripete senza stancarsi: “Voi date loro da mangiare”». Questo aiuterà a mostrare il volto misericordioso e materno della Chiesa che si trova tra «i fiumi e il fango della storia»; solo così ogni persona può sentirsi a casa, può sentirsi figlio amato, cercando e sperando. Questo sguardo, questo dialogo con il Popolo fedele di Dio, offre al pastore due attitudini molto belle da coltivare: il coraggio per annunciare il Vangelo e la forza per superare le difficoltà e la sgradevolezza che provoca la stessa predicazione. Nella misura in cui noi ci coinvolgeremo nella vita del nostro Popolo fedele e avvertiamo la profondità delle sue ferite, potremo guardare “senza filtri clericali” il volto di Cristo, andare al suo Vangelo per pregare, pensare, discernere e lasciarci trasformare dal suo volto in pastori di speranza. Che Maria, Nuestra Señora Aparecida, continui a portarci a suo Figlio affinché i nostri popoli in Lui abbiano la vita … e in abbondanza.
[Mia traduzione dallo spagnolo]

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