Le
conversazioni di Papa Francesco
con
Adolfo Nicolás
già Superiore generale della Compagnia di Gesù
«Mi
criticano, anzitutto perché non parlo sufficientemente come Pontefice e poi
perché non agisco come un Re»
di Antonino Legname
Adolfo Nicolás Pachón è gesuita spagnolo ed è stato
Preposito Generale della Compagnia di Gesù dal 2008 al 2016. Recentemente, sul numero di aprile 2017 della rivista spagnola Mensajero ha
pubblicato i suoi ricordi in merito agli
incontri avuti con Papa Francesco. Per evitare di sbagliare la cronologia degli
eventi, P. Nicolás, il quale è oggi ottantenne, ha preferito fare una narrazione
tematica per dare un certo ordine alle sue memorie, ed ha avvertito il lettore
che se nota qualche imprecisione, sarebbe prudente prima verificare e poi
perdonare. Egli descrive Papa Francesco come «un uomo vicino, sincero, per il
quale il Vangelo e non la norma deve essere l'ultima parola». E aggiunge che
Francesco è un uomo estremamente ben informato su ciò che gli altri pensano di
lui, sia in bene che in male, e conosce perfettamente coloro che lo criticano,
senza per questo mostrare risentimento. Ricorda che nei colloqui avuti con il
Papa, la risposta di Francesco era puntuale, sempre evangelica e con un pizzico
di umorismo. P. Nicolás scrive che in un'occasione il Papa gli disse: «Mi
criticano, anzitutto perché non parlo sufficientemente come Pontefice e poi
perché non agisco come un Re»; ma al Papa gesuita entrambe le critiche non interessano
minimamente - riferisce P. Nicolás. Non c'è dubbio che, nello stesso tempo, la
risposta popolare è stata straordinaria in tutti i continenti. L'ex Superiore
dei Gesuiti riferisce che, in occasione di una riunione, un laico gli disse: «Se
ha l'opportunità dica grazie al Papa che ci ha riportato alla Chiesa, che noi
credevamo stesse per calare a picco». Quando P. Nicolás vide che il cardinale
Tauran annunciava «Habemus Papam» e sentì il nome di Jorge Mario, percepì che si
stava entrando in un periodo di incertezza. Ma questa sensazione durò poco -
confida - perché il nuovo Papa chiamò al telefono la Curia generalizia dei
Gesuiti, perché voleva parlare con il Preposito: «Sono Papa Francesco e
desidero parlare con il Generale». «Se tu sei il papa, io sono Napoleone, pensò
il ragazzo addetto alla portineria». «Come ti chiami?» - gli domandò Francesco.
«Andrea!». «E come stai, Andrea?». «Un poco confuso». Francesco parlò con P. Nicolás, il quale gli espresse tra l'altro il desiderio di poterlo
incontrare, come è consuetudine che faccia il Generale alla presenza del Papa
anche per rinnovare i voti di obbedienza e di collaborazione al Romano
Pontefice. Francesco gli disse: «Sì, sì, però questo pomeriggio non posso
perché devo andare dal dentista. Ti chiamerò io». P. Nicolás confida di aver
ringraziato in cuor suo il dentista, perché non si sentiva preparato ad
incontrare quel giorno stesso il Papa. Era un Venerdì. Il Papa lo chiamò
la Domenica seguente e la cosa interessante fu che Francesco gli disse: «Vieni
a Santa Marta, perché domani devo trasferirmi al Palazzo apostolico e qui ho
più libertà». Questo significa che la decisione di restare nella Casa di Santa
Marta il Papa l'ha presa all'ultima ora. In una delle conversazioni, mentre si
parlava di P. Lorenzo Ricci, Superiore Generale al tempo della soppressione
della Compagnia di Gesù, Papa Francesco disse: «il Padre L. Ricci ha dovuto
soffrire molto»; e P. Nicolás commentò: «anche Arrupe ha sofferto molto, e
neppure Kolvenbach fu risparmiato dalle sofferenze». E aggiunse: «però, io,
fino a quando tu sei Papa, sono più facilitato». Francesco, sorrise per quella
battuta del Superiore. E parlando della vita religiosa, la percezione è stata
che Francesco, anche per esperienza personale, la conosce dal di dentro; sa
delle glorie e anche delle debolezze della Vita Religiosa, conosce i peccati e
i difetti più frequenti dei Religiosi. P.
Nicolás riferisce che «Papa Francesco è convinto che ciò di cui il mondo d'oggi
ha bisogno è più Saggezza, meno dogma e più senso, in generale, per vivere e
sperare».
E in riferimento alla riforma della Curia, Francesco gli ha detto che
desidera attuarla e vuole farlo nella maniera più evangelica di cui è capace. I
discorsi alla Curia, in occasione degli auguri natalizi, sono una chiamata di
tutti a vivere di più secondo il Vangelo. La riforma della Curia ha a che vedere
con la credibilità e la missionarietà della Chiesa. Non c'è dubbio che la dimensione
missionaria nella evangelizzazione è estremamente importante per Papa
Francesco. È risaputo che Bergoglio desiderava andare come missionario in
Giappone. Non sappiamo e non possiamo immaginare come avrebbe evangelizzato
Padre Bergoglio. Egli avrebbe anzitutto compreso che «non si può evangelizzare
il Giappone senza creare alleanze con i buddisti e gli shintoisti giapponesi. I
primi cristiani cercarono profondamente le radici del cristianesimo nella
poesia e nella filosofia pagana del tempo, cosa che non abbiamo fatto con lo
stesso zelo in Giappone» - lamenta P. Nicolás. E parlando del sacerdozio nella Chiesa, l'ex Preposito
dei gesuiti annota che per Papa Francesco il sacerdote è fondamentalmente «per
gli altri». Non è uno che fa parte di una casta privilegiata, ma è un uomo la
cui preoccupazione centrale è la sofferenza degli «altri» e come diminuirla o
eliminarla. Inoltre, il sacerdote deve «odorare di pecora», nel senso che deve
stare a contatto con la vita umana, con tutto quello che la gente pensa e vive.
Inoltre, il sacerdozio non è una fonte di benefici economici, né un titolo di
gloria. Il sacerdote ha una incidenza sociale, non tra i «signori» («non
importa quanti titoli accademici possiede»), ma tra coloro che servono. Il
sacerdozio non è una «carriera», sebbene richieda molto studio e in alcune
parti del mondo si concludono gli studi con uno o due titoli accademici. Nel
servire i poveri non c'è bisogno di carriera e non c'è competizione. Esula dal
sacerdozio «la competizione, il prestigio, il profitto, il privilegio, la
vendetta, ecc.». E termini, come «sofferenza, crisi, malattia e debolezza sono
altrettante sfide per fare qualcosa che possa alleggerirle».