LUTERO E L'UNITA' DELLE CHIESE
Quando Joseph Ratzinger fu aspramente criticato e accusato
di «ecumenismo a ritroso» e disse: "da parte cattolica ho ricevuto
per lo più critiche ingiuriose".
In
questi anni di pontificato, Papa Francesco in tante occasioni ha ribadito che
la strada dell'ecumenismo teologico e dottrinale non è facile, anzi è molto
complessa, e il cammino richiede la capacità di soffrire e di agire con
pazienza, senza l'assillo dei risultati immediati. Al
di là delle evidenti e profonde diversità teologiche ed ecclesiologiche resta
comunque l'anelito e l'impegno di tutte le Chiese di favorire con rispetto
reciproco il cammino verso l'unità piena. Si realizzerà? «Dove e quando piace a
Dio» - diceva Melantone. E in riferimento a Lutero occorre presentare
un'immagine che sia fedele alla storia e alla teologia. In occasione della
visita a Erfurt, in Germania, il 23 settembre 2011, papa Benedetto XVI a proposito di Lutero spiegava che
«ciò che non gli dava pace era la questione su
Dio, che fu la passione profonda e la molla della sua vita e dell’intero suo
cammino. “Come
posso avere un Dio misericordioso?”: questa domanda gli penetrava nel cuore e
stava dietro ogni sua ricerca teologica e ogni lotta interiore. Per Lutero la
teologia non era una questione accademica, ma la lotta interiore con se stesso,
e questo, poi, era una lotta riguardo a Dio e con Dio». Giovanni Paolo II il 6
giugno 1989 arrivò a dire che «i
risultati della scomunica di Lutero hanno prodotto ferite profonde che,
ancora … non si sono rimarginate» ed esortava i cattolici a considerare gli
sforzi scientifici degli studiosi evangelici e cattolici che hanno portato a
focalizzare «la profonda religiosità di
Lutero che ardeva dell’ansia bruciante per il problema della
salvezza eterna». Andando indietro di qualche decennio, mi
sembra utile riprendere e riproporre alcune riflessioni lungimiranti di Joseph Ratzinger
sul tema dell'ecumenismo e in modo specifico su Lutero e l'unità delle Chiese [1].
Per esempio, nella Lettera indirizzata al collega prof. M. Seckler nel 1986,
scriveva: “Appartiene a quest'unità attraverso la diversità anche la
volontà di non voler imporre all'altro ciò che (ancora) lo minaccia nel centro
della sua identità cristiana” (p. 136). In che senso? Ratzinger spiega: “I
cattolici non dovrebbero cercare di spingere i protestanti al riconoscimento
del papato e della loro comprensione della successione apostolica;
l'inserimento della parola nello spazio del sacramento, e nell'ordine giuridico
definito dal sacramento, appare evidentemente ai protestanti un attentato alla
libertà e alla non manipolabilità della parola, e noi questo dovremmo rispettarlo”
(Ibid.). Ovviamente
anche “i protestanti dovrebbero evitare di spingere la chiesa cattolica
all'intercomunione a partire dalla loro idea di Cena” (pp. 137-137) . Mi ha sempre incuriosito la misteriosa sentenza di
san Paolo: «È necessario che avvengano divisioni tra voi» (1Cor 11,19).
Perché «è necessario»? Joseph Ratzinger ha cercato
di spiegare con un esempio pratico il significato di quel «è necessario»: “Non
è stato forse in tanti modi un bene per la Chiesa cattolica in Germania e
altrove il fatto che sia esistito accanto alla Chiesa il protestantesimo con la
sua liberalità e la sua devozione religiosa, con le sue lacerazioni e la sua
elevata pretesa spirituale?” (p. 135). Ratzinger non sottovaluta il fatto che
“ai tempi delle lotte per la fede, la spaccatura è stata quasi soltanto
contrapposizione; ma poi sono cresciuti sempre di più elementi positivi per la
fede in entrambe le parti, un positivo che ci permette di comprendere qualcosa
del misterioso «è necessario» di San Paolo” (ibid.). Ovviamente la stessa cosa
vale per il protestantesimo, il quale, nato come protesta, sarebbe quasi
impensabile senza il riferimento al cattolicesimo. Da qui deve scaturire la
reciproca esigenza delle Chiese cristiane di impegnarsi per raggiungere la
piena unità, attraverso modelli di unità, non solo come frutto di discussione
dotte tra i teologi, ma soprattutto nella preghiera e nella penitenza (ibid.). Al di là di tante questioni dottrinali ed ecclesiologiche
ancora irrisolte, resta comunque aperto l'impegno ecumenico delle chiese
cristiane di crescere insieme nell'amicizia fraterna, nella missione e nella
solidarietà verso i più deboli della società. Questo è l'«ecumenismo della
misericordia» che spinge tutte le chiese a testimoniare insieme l'amore di Dio
con l'annuncio del Vangelo e con il servizio agli ultimi. Alcuni storici e
teologi concordano nel dire che Lutero, con la sua Riforma, ha voluto rinnovare
un cattolicesimo che all'epoca non era cattolico (cfr. J. Lortz, La Riforma
in Germania, Jaca Book, Milano 1979). E Papa Francesco ha detto che «l’intento
di Martin Lutero, cinquecento anni fa, era quello di rinnovare la Chiesa, non
di dividerla». In un'intervista alla Rivista Communio,
nel 1983, Ratzinger spiegava che la divisione della Chiesa al tempo di Lutero è
stata un "malinteso che si sarebbe potuto evitare da parte di pastori più
vigili nel loro pensiero" (p. 100). Per questa intervista, Ratzinger fu
criticato e fu accusato da U. Ruh di «ecumenismo a ritroso» (cfr Herder Korrespondenz, 38 [1984], p. 4).
P. Manns addirittura gli suggerì una «ritrattazione». Ratzinger, invece, si
appellò ad una seria ricerca comune per poter conoscere e interpretare correttamente il pensiero di Martin Lutero. E
a proposito della critica aperta ricevuta da Manns, Ratzinger scrisse: «la
preferisco a certe obiettività apparenti con le loro aggressioni nascoste» (p.
120). Come si vede, nulla di nuovo sotto il sole! E anche il suo progetto di
riunificazione di Fries-Ranher, provocò accese polemiche; mentre, però, da
parte evangelica ci fu una prudente approvazione, per esempio da Eliert Hermes
e dal luterano Oscar Cullmann, invece «da parte cattolica - riferisce Ratzinger
- ho ricevuto per lo più critiche ingiuriose» (p. 120). E allora cosa bisogna
fare per l'unità dei cristiani? Ratzinger risponde: «rafforzare la comune
testimonianza di amore in un mondo che ne ha sempre più bisogno. Dare la comune
testimonianza fondamentale della fede, non perdere nulla di essa e cercare di
poterla dare in modo sempre più completo» (p. 129). «In
ogni caso dovrebbe risultare chiaro che l'unità non la facciamo noi ... ma non
possiamo tuttavia rimanere con le mani in mano. Ciò che qui importa è di
accogliere sempre daccapo l'altro in quanto altro nel rispetto della sua
alterità. Possiamo essere uniti anche come divisi» (p. 135). In questo
cammino verso l'unità piena dobbiamo, non solo rispettarci, ma amarci perché -
come ha spiegato Ratzinger - «noi siamo a vicenda necessari anche nella
divisione, riceviamo l'uno dall'altro, viviamo l'uno per l'altro, siamo
cristiani l'uno insieme con l'altro» (p. 130). In questa prospettiva anche la
divisione attuale - fino a quando il Signore la permette - «può essere anche
feconda, può portare a una ricchezza maggiore della fede e in tal modo
preparare l'una-molteplice Chiesa, che noi non ci sappiamo immaginare, ma nella
quale nulla sarà perduto di ciò che di positivo è cresciuto nella storia,
dappertutto nel mondo. Forse - conclude Ratzinger - abbiamo bisogno di
separazione per arrivare a tutta la pienezza che il Signore si aspetta» (p.
130).
[1] Joseph Ratzinger, Chiesa, Ecumenismo e Politica. Nuovi saggi di
ecclesiologia, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1987. Da questa
stessa fonte sono tratte le altre citazioni riportate nel testo che indico tra
parentesi con il numero della pagina.